Innovare con impatto sociale: BTREES intervista Laura Orestano

Ringraziamo BTREES per l’intervista a Laura Orestano, CEO di SocialFare, pubblicata sul blog www.btrees.social sul tema “Innovare con impatto sociale”.

Buongiorno Laura! Grazie per essere qua con noi. Cominciamo subito dalla prima domanda: cos’è Social Fare in una frase? E qual è la vostra missione?

SocialFare è il primo Centro per l’Innovazione Sociale in Italia con focus verticale sullo sviluppo di modelli, servizi e prodotti che rispondano in modo innovativo alle sfide sociali contemporanee. La nostra missione è quella di generare innovazione a impatto sociale, cioè rilevante per la qualità della vita delle persone e delle comunità. SocialFare esplica la sua azione in due modi: accelerando conoscenza e accelerando imprese a impatto sociale.

 

Perché Torino? E perché Rinascimenti Sociali? Ci spiegate com’è nato lo spazio?

Torino ha un mix unico in Italia in termini di azione sociale, cultura di impresa e sviluppo tecnologico: questi sono tre elementi chiave per costruire nuove soluzioni e nuove imprese ibride, cioè, che intendano risolvere dei bisogni/sfide sociali, che siano strutturate managerialmente, che includano la tecnologia ed il digitale come parte della loro offerta.
Rinascimenti Sociali è il luogo e la rete di convergenza tra attori, pubblici e privati, profit e no profit che si sono riconosciuti come uniti da un obiettivo comune: generare impatto sociale positivo per generare nuovo sviluppo economico ma anche culturale, in termini di nuovi modelli di riferimento e non solo di nuove prassi.

Lo spazio è nato dal basso: era vuoto e disponibile, un piccolo gruppo di attori lo ha visto come sede della sperimentazione di convergenza e ha iniziato a trasferire le proprie attività, man mano altri attori sono arrivati, sempre in coerenza con la visione iniziale, e si sono trasferiti ma anche aggiunti alla rete non solo fisica. Ognuno ha portato qualcosa, ha configurato il pensiero, il modello, le relazioni, le opportunità che si sono moltiplicate, la comunicazione che è divenuta coesa, ognuno ha portato anche i propri mobili ed allestimenti: non era una casa costruita da altri, omologata anche nel suo apparire ma una casa comune costruita da tutti coloro che si identificano con la visione e per questo ricca di diversità ed anche di opportunità vere. Oggi Rinascimenti Sociali conta più di 40 partner di diversa natura e costituisce un punto vibrante, innovativo ed in continua evoluzione non solo in Italia ma in tutta Europa.

 

Foundamenta#4 è stato il vostro ultimo bando. Come scegliete le startup? Sulla base di quali criteri principali?

Il 15 di marzo si è concluso il programma di accelerazione FOUNDAMENTA#4, nel frattempo abbiamo selezionato i nuovi progetti che entreranno nel quinto programma di accelerazione e, il 26 di marzo, abbiamo lanciato la nuova call FOUNDAMENTA#6 il cui programma inizierà il 24 settembre per poi concludersi il 24 gennaio 2019.

Questi ritmi richiedono un processo e criteri di selezione rodati e ben condivisi. I criteri con i quali selezioniamo i progetti sono tendenzialmente i seguenti: il team, fondamentale, quello che cerchiamo è un team di founder con un forte commitment nel progetto e che lavora full time (almeno dal momento dell’ingresso al programma); l’idea, che deve risolvere un bisogno chiaro e in modo nuovo rispetto ai competitor diretti/ indiretti, mostrando una value proposition distintiva; il mercato, un mercato in crescita, anche di nicchia, ma con forte potenziale.

Questi aspetti vengono sempre tenuti a mente durante l’intero iter di selezione che è caratterizzato da tre macro attività:

1) Lancio della call su F6S. Piattaforma di riferimento a livello globale al quale si appoggiano molti acceleratori e incubatori.

2) Screening e diligence, tramite call e meeting, del team di accelerazione.

3) Presentazione dei migliori 10 progetti a SocialFare Seed, il veicolo che investe nelle startup accelerate.

 

Quali case histories di maggiore valore vi rendono più felici di quanto fatto sino ad ora, in questi anni?

Abbiamo due livelli di osservazione di quello che è stato fatto in questi anni: l’osservazione del modello e l’osservazione delle attività specifiche. In termini di modello quello che ci rende felici è che SocialFare è un organismo vivo, dinamico, aperto, auto-regolato e che attrae intelligenza internazionale, giovani che vogliono cambiare il mondo con professionalità e una precisa scala di valori e di scelte.

In termini di attività specifiche, siamo felici ogni volta che una startup fa un passo avanti e incontra investitori che ci credono, ogni qual volta le nostre attività di accelerazione di conoscenza, nelle scuole, nelle cooperative così come nel privato, sviluppano maggiore consapevolezza e saper fare, con strumenti nuovi, internazionali, riconoscibili e di reputazione.

 

Come si comporta l’Italia rispetto al mondo dell’innovazione sociale? Stanno aumentando gli investimenti?

L’Italia sta prendendo coscienza che l’innovazione sociale, così come l’imprenditorialità sociale, possono costituire una vera leva di sviluppo per il Paese. Gli investimenti sono disponibili, almeno sulla carta, ma c’è bisogno di maggiore capacity: sia in termini di qualificazione della domanda (imprese pronte ad essere investite) sia in termini di propensione al rischio (da parte degli investitori); e poi c’è il grande punto politico: serve “evolutionary policy-making“, cioè politiche che siano dinamiche e che accompagnino in modo dinamico e sistemico l’innovazione sociale.

 

Quali sono le prossime iniziative in arrivo?

SocialFare sta progettando in modo sistemico ed agendo in modo imprenditoriale: significa che costruisce parti mancanti della catena del valore dell’innovazione sociale e le attiva come sperimentazioni imprenditoriali “in-house”. In questo approccio ha lanciato recentemente SocialFare SEED, primo veicolo/fondo impact seed che investe seed money nelle startup a impatto sociale accelerate da SocialFare attraverso la call Foundamenta e a breve lancerà un’altra iniziativa sistemica nell’area di accelerazione della conoscenza a impatto sociale, laddove già stiamo raccogliendo grandissimi risultati con il nostro programma Design Your Impact, programma di accelerazione di conoscenza pratica sugli strumenti dell’innovazione sociale. Recentemente, SocialFare è stato anche promotore della nuova piattaforma Torino Social Impact, ulteriore tentativo di raccordo metropolitano per posizionare Torino tra le leading cities europee per l’innovazione sociale.

 

 

PubCoder presenta BENVENUTI ABC

Quando è arrivata in Germania la prima ondata di migranti siriani nell’ottobre 2015, Anna Karina Birkenstock (illustratrice e volontaria nei campi profughi) ha deciso di utilizzare il linguaggio universale delle illustrazioni e la tecnologia di PubCoder per costruire uno strumento di dialogo con i tanti bambini rifugiati. Lei e suo marito, Caspar Armster, hanno individuato 150 parole di uso quotidiano, hanno chiesto a 25 illustratori di disegnarle, ed hanno creato un libro digitale con audio in doppia lingua inglese e tedescoDas Wilkommens ABC, che i volontari possono utilizzare con il proprio smartphone.

Un’iniziativa di enorme successo, che PubCoder ha deciso di replicare in Italia lanciando nel marzo scorso, in occasione della Bologna Children’s Book Fair, un appello a illustratori e creativi per creare un dizionario illustrato digitale interattivo in lingua italiana, inglese e araba per smartphone, tablet e pc. Benvenuti ABC oggi rappresenta probabilmente una delle più importanti opere collaborative mai realizzate: hanno aderito 120 illustratori realizzando 190 tavole, tra loro moltissime firme note al pubblico internazionale; e, insieme a loro, altri professionisti che si sono messi a disposizione per leggere e tradurre le parole e per creare i suoni.

Intuitivo, facile da usare e scaricabile gratuitamente da Apple Store e Google Play Store, attraverso l’applicazione gratuita Edook, il dizionario è pensato per la prima accoglienza, per stabilire un dialogo, per strappare un sorriso; verrà utilizzato dai volontari in Italia grazie alla collaborazione con Fondazione Migrantes, che ha aderito all’iniziativa sin dal primo momento.

Giovedì 27 ottobre 2016, alle ore 11.00, in via Cottolengo 22 a Torino, PubCoder e Fondazione Migrantes presentano l’applicazione Benvenuti ABC, un’iniziativa che ha unito innovazione, tecnologia, creatività e volontariato al servizio dell’altro. Ne parleranno Paolo Giovine, fondatore e presidente di PubCoder, e Sergio Durando, direttore dell’Ufficio Migrantes di Torino. Modererà l’incontro Luca Rolandi, giornalista del settimanale diocesano La voce e il tempo.

L’Italia accoglie ogni anno un numero crescente di migranti, e, tra loro, tantissimi bambini; costruiranno, insieme ai nostri figli, il futuro di questo paese. Siamo felici e riconoscenti per la straordinaria risposta del mondo creativo, ma non sorpresi: sono tantissime le persone che ogni giorno si dedicano all’accoglienza e all’integrazione, volontariamente. Grazie a Fondazione Migrantes, che ha sposato dall’inizio l’iniziativa con incredibile entusiasmo, Benvenuti ABC verrà diffuso nei centri di accoglienza italiani e ovunque possa servire, a partire dalle scuole dove ogni giorno si realizza, concretamente, l’integrazione” afferma Paolo Giovine, fondatore e Presidente di PubCoder. “A noi interessa la tecnologia quando è utile alle persone. Benvenuti ABC rappresenta una tappa, ci sono tantissime cose da fare, il momento è adesso.”

Migrantes ha il privilegio di toccare con mano la volontà delle persone di farsi coinvolgere nelle tante occasioni e modalità di accoglienza”, afferma Sergio Durando, direttore dell’Ufficio Migrantes di Torino. “Dalle famiglie, che aprono la loro porta per accogliere un rifugiato, alle comunità parrocchiali, che nel solo territorio della Diocesi di Torino in un anno sono state in grado di ospitare gratuitamente 255 persone con titolo di protezione internazionale, sino alla bella e utile iniziativa di Benvenuti ABC che ha visto in pochi mesi collaborare professionisti lontani dal mondo dell’accoglienza, come i 120 illustratori che hanno trovato del tempo da condividere e che hanno messo a disposizione della comunità il loro talento. Sempre più è indispensabile sensibilizzare la società sui temi legati all’accoglienza e all’aiuto dell’altro: dovremmo creare più occasioni concrete e precise, come questa di Benvenuti ABC, perché ciascuno, avvalendosi delle proprie capacità e possibilità, possa contribuire a rendere migliore il nostro Paese. C’è ancora molto da lavorare, poiché sono ancora tante le fatiche e paure che registriamo sui nostri territori, ma non mancano i segnali positivi da cui partire”.

PubCoder è una start up innovativa torinese. Sviluppa un software che consente la creazione di contenuti digitali interattivi distribuibili come ebook, app, HTML5 dentro i browser, su desktop e mobile. Più di 5.000 editori, creativi, insegnanti in tutto il mondo hanno utilizzato PubCoder per realizzare prodotti e contenuti digitali. Dal 2014 Apple iTunes raccomanda ufficialmente PubCoder, a livello mondiale, come strumento di creazione di libri interattivi. Nell’ottobre 2016 Pubcoder è stata premiata come Best Cross-Platform App agli Xojo Design Award. Per ulteriori informazioni su PubCoder, visita www.pubcoder.com

Fondazione Migrantes è l’organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per assicurare l’assistenza religiosa ai migranti, italiani e stranieri, per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti ed opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi, per stimolare nella stessa comunità civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di pacifica convivenza rispettosa dei diritti della persona umana. http://www.migrantes.it/

Contatti: https://www.pubcoder.com/ita/BenvenutiABC

Ufficio stampa

Daniela Sabatini daniela.sabatini@pubcoder.com Tel. 011 569022 – cell 347 4237423

Intervista a Franco Becchis, direttore scientifico di Turin School of Local Regulation

09 Settembre 2016 – Franco Becchis è direttore scientifico della Turin School of Local Regulation e Fondazione per l’Ambiente, ma anche economista di strada e autore del Bestiario di Finanza. Iniziamo allora questa intervista con una considerazione. La società è giunta alla «quarta rivoluzione industriale», come l’ha definita Klaus Schwab all’ultimo World Economic Forum (Wef) a Davos. Una nuova rivoluzione i cui protagonisti, ha spiegato il fondatore del Wef nel libro omonimo, sono aziende che hanno sovvertito la tradizionale catena dalla produzione al consumo di beni. Sono piattaforme che connettono la domanda e l’offerta di beni e servizi in modi mai visti prima della diffusione di Internet. I campioni di questa rivoluzione sono bestie strane, come le ha descritte su TechCrunch Tom Goodwin (senior vice president per la Strategia e Innovazione di Havas media): Uber, la più grande società al mondo di taxi, non possiede automobili; Facebook, il social media più popolare al mondo non crea alcun contenuto; Airbnb, il più grande fornitore al mondo di ospitalità, non possiede alcun immobile. E Amazon, il più grande commerciante al mondo, non ha una catena di negozi. Eppure il loro valore in Borsa — o quello stimato dai privati investitori, nel caso delle società non ancora quotate — è superiore a quello dei concorrenti del mondo non virtuale, quello dei brick mortar, «mattoni e cemento».

 Il sistema delle piattaforme manifesta la sua natura disruptive, e fatica a dialogare con l’esistente: Airbnb è sotto accusa perché non ha gli standard degli hotel, gli ospiti non pagano la tassa di soggiorno e i proprietari hanno tariffe dell’acqua, dei rifiuti e dell’energia di tipo domestico e non commerciale. Gnammo, che fa incontrare domanda e offerta di pranzi e cene, non passa inosservata alla grande famiglia dei ristoratori e recenti provvedimenti amministrativi a Torino segnalano un conflitto che non può che crescere. Non è ben chiaro il perché, ma sembra che la reputazione sociale che si forma con il giudizio dei clienti, quella che determina il successo e la sconfitta di molte imprese, non valga nulla senza un timbro della Asl. Amazon Flex, che permette a tutti di diventare fattorini per un giorno consegnando pacchi in un’ora, farà infuriare i corrieri e rinascere le polemiche sul lavoro on-demand. Intanto, gli sfidanti delle vecchie banche hanno già vinto la partita: miliardi di euro transitano nei siti di peer to peer finance. Non è un buon segnale per i gestori di bus, ferrovie, taxi, hotel e ristoranti, ma potrebbe esserlo per i consumatori.

La quarta rivoluzione industriale comporta quindi la combinazione di nuove tecnologie, sharing economy, protezione del consumatore e regolazione. Tre elementi la cui triangolazione traccia relazioni complesse, capaci di orientare (e condizionare) il futuro di consumatori, decisori politici e  lavoratori.

Franco Becchis: Vorrei iniziare facendo subito un distinguo, per meglio definire i confini della reale estensione coperta dalla definizione sharing economy, o economia della condivisione. La più (ab)usata fra le parole che piacciono ai media. Sharing vuol dire condividere e richiama una community, la fiducia e la gratuità. Blablacar, Uber, Taskrabbit, Airbnb, Gnammo e altre piattaforme non condividono un bel niente: un guidatore che carica un autostoppista, una famiglia che ospita gratuitamente dei migranti sono esempi di sharing, condivisione. Uber e i suoi fratelli, invece, semplicemente permettono ai proprietari di dormant asset di incontrare la domanda pagante di sconosciuti. È, quindi, un’economia degli asset dormienti che si risvegliano grazie alla capacità offerte dalle nuove tecnologie di comunicazione peer-to-peer di fare incontrare l’offerta con una domanda che restava latente. Le piattaforme internet hanno reso osservabile, e quindi contrattabile, ciò che prima era nascosto: passaggi auto da condividere, camere da affittare, abilità culinarie, disponibilità a fare le pulizie o altri lavoretti. Questo tuttavia non sempre è sharing, o collaborative.

IL POTERE DELLE PIATTAFORME

C’è da dire che vale quasi l’1 per cento del Pil, quindi non credo sia un fenomeno passeggero: considera che la tecnologia permette un enorme effetto leva, trasformando piccole reti informali di persone in gigantesche reti sociali in simultanea possibilità di comunicare e scambiare. Chi presidia le piattaforme da cui passano gli scambi ha un forte potere di mercato e costituisce una minaccia per chi produce e vende attraverso i canali tradizionali della comunicazione vis à vis o telefonica. Questo solleva un’interessante tema rispetto alle informazioni di cui le piattaforme sono detentrici: Amazon è chi conosce meglio il Franco Becchis lettore di saggi. Conosce non solo quali testi ho scelto ma anche dove ho sottolineato, dove mi sono soffermato nella lettura. Al momento non mi sembra ne faccia buon uso, guardando alle proposte di lettura che mi offre. Sicuramente per la regolazione questo diventerà un tema importante, e noi ce ne stiamo già occupando.

TECNOLOGIA E COSTI DI TRANSAZIONE

Il processo evolutivo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione che con l’introduzione degli smartphone ha avuto un sensazionale salto in avanti ha consentito l’affermarsi di innovazioni cosiddette “disruptive”  che consentono di diminuire notevolmente i costi di transazione – che fanno da barriera fra scambi possibili e scambi effettivi. Quarant’anni fa Ronald Coase aveva già identificato i costi di transazione come principale ostacolo al raggiungimento di accordi tra controparti, quindi alla micro-economia il tema è presente da molti anni.  Si tratta delle difficoltà di transazione tra persone che possono essere dovute a distanza geografica, mancanza di fiducia, antipatia: questo si traduce in costi, costringendo elementi esterni a fare da mediatori. Invece la trasformazione dei mercati potenziali in mercati reali, operata dalle piattaforme, determinano la fine dello scenario business-as-usual e pongono problemi nuovi ai regolatori nazionali e locali. Gli attori di mercato, dal canto loro, si vedono costretti a innovare, e quelli che grazie alla regolazione hanno goduto per anni di un ambiente protetto sono a un punto di svolta critico. In questi casi, la qualità del servizio è molto importante e infatti viene valutata ex-ante, anche attraverso un sistema di recensioni.

REGOLARE LE DISRUPTIVE TECHNOLOGIES

In ogni caso è evidente come le capacità pervasive di mercato offerte dalle nuove tecnologie pongano in contrasto queste imprese non solo con gli incumbent ma anche con la regolazione, che a volte esiste ma è vecchia. A volte non è ancora stata formulata.  Il tema della regolazione, e le recenti polemiche relative alla mobilità, ci porta alla seconda parola tra quelle più abusate: servizio pubblico. Nella sua essenza, un servizio è pubblico quando il mercato non è in grado di fornirlo da solo in modo efficiente, equo e accessibile: in altre parole, abbiamo la sanità, le scuole, la depurazione delle acque, lo smaltimento dei rifiuti e altri servizi in mano diretta pubblica o regolati dal pubblico, perché non ci fidiamo dei mercati. Un servizio, quindi, non è pubblico perché giuridicamente è stato dichiarato tale o perché qualcuno ha ottenuto la licenza per fornirlo, con esclusiva o senza: è il contenuto che conta, non il contenitore. A forza di regolare oggetti e contenitori anziché bisogni e contenuti, la pubblica amministrazione ha creato una serie di fortini dove persone e organizzazioni difendono esclusive e diritti. Ma il cambiamento della tecnologia e la forza dei bisogni è più forte dei regolamenti.

LA SFIDA INTERNAZIONE DELLA REGOLAZIONE DEI SERVIZI: TURIN SCHOOL OF LOCAL REGULATION

Noi studiamo questo, alla Turin School of Local Regulation. Crediamo che la regolazione debba accompagnare il cambiamento. Un equilibrio non facile, perché la regolazione deve aiutare queste innovazioni, evitando la consumer exploitation e garantire al contempo la sicurezza di chi usa questi servizi. Turin School of Local Regulation è un network, senza muri, che connette quanti sono interessati alla formazione in questo ambito. Abbiamo iniziato con una scuola estiva in italiano, dedicata a chi si occupava di regolazione locale. Ma gli studenti italiani  diminuivano di anno in anno, e arrivati alla nona edizione ci siamo resi conto che era necessario aprirsi all’internazionalizzazione. La mossa si è rivelata vincente: abbiamo ottenuto moltissime candidature. Per darti l’ordine di grandezza dell’interesse che attualmente muove la summer school considera che quest’anno siamo alla diciannovesima edizione e abbiamo ricevuto 824 application da 98 paesi per 24 posti.

FONDAZIONE PER L’AMBIENTE, UN THINK TANK PER RIFLETTERE CON LIBERTA’

Quello che noi facciamo è un lavoro di nicchia: cercare di portare ai nostri studenti senior il meglio della ricerca che noi compiamo quotidianamente, proponendo loro casi studio, lezioni di ospiti internazionali e lavoro sul campo di simulazione nella creazione di un caso studio composto dall’analisi del quadro regolatorio, degli attori e dei loro incentivi, e degli investimenti. L’attività con la Summer School negli anni ci ha consentito di creare un network importante, grazie alla quale Fondazione per l’Ambiente (promotrice della scuola) ha potuto attivare numerose collaborazioni. Considera che Fondazione per l’Ambiente è una piccola think tank che si occupa di ambiente, energia e politiche locali. E ora sempre più di regulation: due aspetti che non sono in contraddizione, e anzi che tendono a completarsi. Volendo riassumere in una frase la nostra mission: noi ci occupiamo di riflettere con libertà sulle politiche e insegnarle con un approccio di policy e non accademico puro.

INNOVAZIONE SOCIALE E REGOLAZIONE

Noi siamo ospiti di Rinascimenti Sociali fin dall’inizio. Eravamo ospiti della Camera di Commercio di via Pomba. Per noi arrivare in questo luogo ha comportato una grossa rivoluzione: abbiamo dovuto rinunciare a dello spazio (allora disponevamo di quattro sale che dividevamo con delle associazioni che raramente erano presenti), in favore dell’apertura a ricchissimi stimoli esterni. In particolar modo con SocialFare® si è innescato un processo osmotico di scambio. La tavola rotonda Sharing Economy and disruptive technologies ne è l’esempio, un’operazione unica che cerca di tracciare le relazioni tra sharing economy, disruptive technologies, regulation e protezione dei consumatori. Solitamente i momenti di confronto si limitano a uno di questi aspetti, analizzarli assieme è davvero rivoluzionario. E combina innovazione sociale con regolazione dei servizi.

Premio Perotto – Zucca | Innovazione e Tecnologia al servizio delle Scienze e della Vita

Il premio Perotto-Zucca si pone l’obiettivo di raccogliere la fortissima spinta all’innovazione proveniente da tutto il mondo tecnologico, facendo leva sulla creatività e genialità dei giovani. Dal 2005 il concorso colleziona proposte provenienti da aziende, gruppi di lavoro o singole persone che si dedicano con passione al mondo dell’informatica a supporto dell’innovazione. Non a caso il concorso è intitolato a Pier Giorgio Perotto e Tarcisio Zucca: inventore nel 1964 del primo “computer personale”, la “Programma 101”, denominata anche la “perottina” il primo;  promotore della sperimentazione di metodi e strumenti nell’informatica gestionale e dell’inclusione a pieno titolo nel mondo lavorativo di persone con disabilità il secondo.

La Premiazione dei vincitori della IX Edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione Perotto-Zucca, si è svolta il 6 e il 7 Aprile nell’ambito del Life Tech Forum”: la prima edizione in Italia dell’Evento sui temi dell’E-Health Care e delle Scienze della Vita, che sha avuto luogo presso il CISEF (Centro Internazionale Studi e Formazione Germana Gaslini) a Genova. La giuria, composta da 25 rappresentanti di incubatori di impresa, enti patrocinanti e rappresentanti delle istituzioni universitarie e del territorio, ha selezionato una rosa di 10 idee tra quelle candidate in base a: originalità, innovatività, applicabilità, potenziale impatto sociale ed economico, valore scientifico e/o industriale, attualità e visione futura.

Diversi i premi e le menzioni assegnate: 3 riconoscimenti in denaro per i primi classificati (10.000 euro per il primo classificato, 5.000 per il secondo e 3.000 per il terzo); un premio speciale per il progetto più aderente alla missione della Fondazione ASPHI di promozione della partecipazione delle persone con disabilità in tutti i contesti di vita; menzione speciale Rinascimenti Sociali per la soluzione innovativa a maggior impatto sociale.

Roberta DeStefanis (Systemic Ecodesigner per SocialFare) ed Elena Bologna (Innovation Architect) hanno consegnato le menzioni speciali di Rinascimenti Sociali ai due progetti capaci di generare maggiore impatto sociale:

/ TocTherapy | progetto che si propone di sviluppare un sistema informativo, basato su tecnologie web e mobile, che permette agli utenti di ricevere informazioni sul proprio smartphone da fonti certificate sulle proprie malattie o su quelle dei propri cari, di condividere le proprie cartelle mediche rendendole visibili a diversi specialisti, ad ottenere un reting dei servizi sanitari erogati a livello nazionale, la segnalazione dei centri d’eccellenza per le patologie di interesse, e un aggiornamento costante sulle cure in via di sperimentazione.

/ MindBook | temporary social network sviluppato dall‘Università di Piacenza in collaborazione con la cooperativa sociale Tice (Piacenza). Mindbook consente agli adolescenti autistici o con disabilità psichiche di socializzare anche via web, creando una rete di contatti tra ragazzi e famiglie utile a favorire lo scambio di esperienze e l’apprendimento di uno strumento che oggi tra i giovani è molto popolare, ma da cui spesso questi ragazzi sono esclusi proprio perché fanno fatica ad accedervi

The 3C Smart Cities Challenge | L’eccellenza dello StarTAU di Tel Aviv per il primo prototipo di social smart city a Croatà in Brasile

Si conclude oggi la selezione preliminare per la 3C Smart Cities Challenge, lanciata da Tel Aviv University, StartTAU Entrepeneurship Center, SocialFare® | Centro per l’Innovazione Sociale e Planet Idea s.r.l.. La challenge è indirizzata a start-up che abbiano realizzato un prototipo, un lavoro in beta o un prodotto già sviluppato negli ambiti di: sostenibilità ambientale, sicurezza e salute. Sono state più di 50 le proposte pervenute. Obiettivo della challenge individuare nuove soluzioni da implementare nella social smart city che Planet Idea s.r.l. sta realizzando a Croatà, in Brasile. Il prototipo realizzato in questi mesi coprirà un’estensione di 8.000.000 mq di terreno su cui sorgeranno 5.0000 unità abitative destinate a 25.000 abitanti.

Planet Idea s.r.l. è una nuova impresa italiana che punta a diventare riferimento per la ricerca, la progettazione, la sperimentazione di nuovi ecosistemi urbani smart e sostenibili. La start-up torinese ha sviluppato un format innovativo per smart urban ecosystems, che mira alla sostenibilità integrata (sociale – ambientale – economica) con l’obiettivo di generare resilienza urbana, grazie all’implementazione si nuove tecnologie abilitanti. Planet Idea ha sviluppato uno dei primi modelli di social smart city ideato per offrire abitazioni personalizzate, distribuite in modo non intensivo al fine di favorire l’inclusione ed integrare in un piano urbanistico organico e modellato ad hoc.  SocialFare®, a fianco di Planet Idea s.r.l., progetta i servizi destinati agli abitanti ed elabora gli strumenti necessari a sviluppare e garantire la sua sostenibilità sociale

Con l’obiettivo di inserire in questo contesto l’idea che presenti un maggiore potenziale d’impatto sociale, migliore adattabilità alle specificità del contesto brasiliano e più efficace sviluppo tecnologico, le proposte sono state pre-selezionate, tra quelle pervenute, da esperti di SocialFare®, Planet Idea s.r.l. e Tel Aviv University. Le 15 start-up identificate saranno quindi ammesse ad un event pitch in cui potranno confrontarsi ed essere scelte per l’implementazione finale in Brasile. L’event pitch, in programma il 15 marzo a Tel Aviv, consentirà infatti di individuare le 3 start-up a cui sarà destinano un premio in denaro e la sperimentazione della propria soluzione nella social smart city brasiliana in costruzione.

Nei giorni successivi al 15 marzo, la delegazione italiana di SocialFare® e Planet Idea s.r.l. incontrerà un’ampia rappresentanza della community israeliana di ricerca, impresa e investimento per sviluppare nuove sinergie, apprendere nuove pratiche e creare ponti di collaborazione tra Torino e Tel Aviv, con un focus preciso: generare innovazione sociale in modo sempre più avanzato e internazionale.

 

Planet Idea Lab e SocialFare® per la prima social smart city | Intervista a Gianni Savio, Chief Operating Officer

All’interno del grattacielo di Intesa San Paolo il 26 gennaio è stato presentato il bando che avvia la prima esperienza di Living Lab sul quartiere CampidoglioIl quartiere, nella IV Circoscrizione, è stato da tempo scelto come laboratorio per la sperimentazione di nuove tecnologie da implementare al modello torinese di smart city. Il bando si pone l’obiettivo di cercare soggetti che vogliano sperimentare iniziative e soluzioni tecnologiche innovative di interesse pubblico, coerentemente alle linee di azione indicate dal piano strategico di Torino Smart City.

La presentazione del bando, oltre che interessante stimolo per quanti stanno sviluppando tecnologie e servizi in questa direzione, è stata occasione per condividere cinque esperienze di innovazione candidate ad essere realizzate nel quartiere Campidoglio, oltre che rappresentare il primo passo per avviare la collaborazione tra Torino e Fortaleza (Brasile). A Croatà, nel nord del Brasile, sorgerà infatti la prima social smart city. A realizzarla saranno  gli imprenditori torinesi della start-up Planet Idea LabPresentazione standard di PowerPointAl momento è in fase di realizzazione un primo prototipo (foto), secondo una nuova metodologia che si pone l’obiettivo di mettere a sistema i servizi e le tecnologie con l’obiettivo di disegnare nuovi ecosistemi urbani. Questo nuova modellizzazione può essere applicata alle città nella loro interezza, ma può riguardare anche solo porzioni di essa o strutture specifiche. Nasce secondo quest’ottica la social smart square: un modello
che sarà declinato secondo le esigenze delle due città, primo strumento di dialogo tra le esperienze e le tecnologie delle due città.

Oggi incontriamo Gianni Savio, Chief Operating Officer di Planet Idea Lab. Buongiorno Gianni, stamattina in ufficio ti ho sentito dire che le smart city vengono considerate solo cavi e gadget. Cosa taglia fuori questa visione che vuole ridurre (provocatoriamente) tutto alla dimensione tecnologica?

La prima cosa che si nota quando si approccia il tema smart city è che in realtà a livello mondiale non c’è una definizione univoca. Quando parlo agli operatori tecnologici la loro visione di smart city è quella di una città connessa, ricca di ICT e iOT. Se mi confronto con gli architetti per loro il tutto è riconducibile alla pianificazione di una città disegnata per essere resiliente. Per gli ingegneri si tratta di acque reflue, smart grid e gestione delle risorse ambientali. Per quanti hanno il focus sugli aspetti sociali il tema è l’inclusione sociale: come bisogno e come potenziale. Quello a cui Planet Idea Lab punta è integrare tutti questi punti di vista in una visione sistemica che possa contemplare tutti gli elementi tecnologici, tecnici e sociali fioriti negli ultimi anni, una visione di pianeta. Ci sono tante idee smart lodevoli come singole iniziative, ma molto spesso sono singole iniziative che trovano un utilizzo solo estemporaneo.  Piero Fassino ieri durante la presentazione nel grattacielo di Intesa San Paolo metteva in guardia, a riguardo, dal rischio di “fare il presepe”, con una giustapposizione di iniziative. È da questa riflessione che prende le mosse la nostra visione, secondo la quale tutti lavorano in sinergia per la creazione di ecosistemi più sostenibili.

Perché avete deciso di costruire una social smart city?

Attualmente il 2% del pianeta è ricoperto da città. Il 50% della popolazione mondiale vive in centri urbani, che consumano il 75% dell’energia e emettono l’80% delle emissioni di monossido di carbonio. Questo perché il 50% delle abitazioni non rispondono ad una visione smart. In questo contesto costruire social smart city costituisce una sfida: utilizzare nuove tecnologie per case che devono avere costi contenuti. L’innovazione spesso viene associata a costi elevati, noi partiamo da assunti differenti. Ora stiamo creando un prototipo che generi economia di scala, per sondare la possibilità di dare vita a un ecosistema urbano intelligente testato su un numero minimo di 5000 unità abitative. L’obiettivo è quello di creare sistema integrato, in cui i vari fattori non costituiscano solo una sommatoria algebrica di utilities e servizi, ma che nella loro interazione portino un valore aggiunto.

Il Social Housing tradizionale segue un modello massificante e indistinto, con unità abitative aggregate in maniera intensiva, che non considera la sostenibilità sociale e ambientale, e slegato dalla pianificazione urbana. SocialHousingMexicoNoi opponiamo a questo modello la progettazione di SMART URBAN ECOSYSTEM: la crescente urbanizzazione richiederà capacità e conoscenza per la progettazione, lo sviluppo e il miglioramento della pianificazione, delle infrastrutture, dell’edilizia e dei servizi in un approccio sistemico. Un esempio della visione integrata dei servizi può essere la app che abbiamo sviluppato. L’app offre, tra le altre, la possibilità con l’interazione con le smart grid di monitorare i consumi di energia elettrica in tempo reale, ma anche di pianificare il consumo del mese in relazione alle possibilità di spesa della famiglia. Allo stesso modo sono previste sinergie tra i sistemi di mobilità interna (come ad esempio il bike sharing) con quelli di mobilità esterna (es. car pooling). Questo approccio consentirà moltissimi vantaggi anche alla parte amministrativa della città (che ad esempio potrà ottenere big data utili alla sua pianificazione), ma soprattutto offrirà vantaggi immediati al cittadino.

Nella tua presentazione parli di quattro pilastri, tra cui citi l’inclusione sociale. In che modo quest’ultima offre alla città una dimensione smart?

Non ci può essere smart city senza un’adeguata pianificazione. Questo prevede un primo livello infrastrutturale: urbanistica, infrastrutture tecnologiche e smart grid, che potremmo definire come l’hardware della città. E poi c’è il software che riguarda la connessione tra i cittadini, la comunità. Naturalmente i servizi di cui parliamo offerti a Miami o all’interno di un contesto legato al social housing hanno due gittate completamente diverse. In contesti di difficoltà economica reti di prossimità, interazione e servizi a favore dell’inclusione assumono una valenza comprensibilmente diversa.

Non ci può essere smart city senza un’adeguata pianificazione. Questo prevede un primo livello infrastrutturale: urbanistica, infrastrutture tecnologiche e smart grid, che potremmo definire come l’hardware della città. E poi c’è il software che riguarda la connessione tra i cittadini, la comunità.

GIANNI SAVIO

 

Com’è nata la collaborazione con SocialFare?

Un progetto così catalizza automaticamente i diversi componenti: chi ha un know-how utile allo sviluppo di questo progetto si sente naturalmente coinvolto. È quasi un processo naturale. Non ci si sceglie, ci si incontra. SocialFare® è stato un incontro importante, soprattutto per la sua capacità di attrarre le idee migliori, di stabilire connessioni capace di dare forma a qualcosa che ancora non esiste in un’ottica di innovazione sociale.

Cosa ti aspetti da questo dialogo con SF?

Il dialogo fino ad ora è stato molto fruttuoso: mi aspetto che andremo a realizzare grandi cose.

Dai tuoi racconti so che hai vissuto, e continui a trascorrere molta parte del tuo tempo, in Brasile. In che modo la tua conoscenza della popolazione locale ha influito sulla progettazione di strutture e servizi?

Per me la molla non è stata tanto l’incontro con questo meraviglioso territorio, ma la scoperta che non si può continuare a costruire in questo modo: bisogna cambiare il modo di costruire. Ma soprattutto, che è possibile farlo. Spesso si pensa che innovare significhi ricorrere a capitali enormi, ma a volte questo può avvenire anche garantendo costi estremamente ridotti e una piena sostenibilità economica. Tornando alla distinzione tra hardware e software, una volta che hai individuato il software in un’economia di scala ammortizzi rapidamente i costi di progettazione. A volte ci si lascia prendere dal pregiudizio che replicare una buona idea costituisca un tentativo di omologazione, ma un format efficace opportunamente personalizzato costituisce l’esatto opposto e ti consente di portare l’innovazione sui territori che meno sarebbero in grado di captarla e che maggiormente ne hanno bisogno.

Per me la molla non è stata tanto l’incontro con questo meraviglioso territorio, ma la scoperta che non si può continuare a costruire in questo modo: bisogna cambiare il modo di costruire. Ma soprattutto, che è possibile farlo. Spesso si pensa che innovare significhi ricorrere a capitali enormi, ma a volte questo può avvenire anche garantendo costi estremamente ridotti e una piena sostenibilità economica.

GIANNI SAVIO

 

Chi collabora con te a questo progetto?

Tante persone. Alcune lavorano in Brasile: una ventina tra architetti, ingegneri, capo-cantiere e responsabili amministrativi. La parte operativa della costruzione del prototipo. Nell’ideazione del concept sono invece coinvolti RECS ARCHITECTS (per l’area pianificazione urbanistica, architettura). Francesco Tresso a capo del team per la sostenibilità ecologica. Daniele Alberti a capo del team ICT e iOT e SocialFare® per tutto ciò che concerne l’innovazione sociale e la valutazione di impatto.

Ora siamo impegnati nella realizzazione dei due esperimenti di piazza intelligente. Questo prima connessione costituisce la volontà di mettere a sistema la dimostrazione dei benefici che possono nascere quando l’ecosistema urbano è progettato e realizzato in maniera smart. Un concetto declinabile su differenti scale e che già adesso vede dei tentativi di applicazione nei concetti di smart station, smart factory, e per l’appunto smart square.

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Digital Urbanism | semi di Eden (Energy Data ENgagement)

Internet smetterà di essere il protagonista della nostra evoluzione tecnologica. Lo ha affermato Erich Schmidt al World Economic Forum 2015. L’executive chairman di Google ritiene, infatti, che la rete sarà completamente assorbita  da tutto ciò che ci circonda e, metabolizzata dalla nostra società, arriverà a far parte di essa in modo definitivo. A innescare questo processo l’internet delle cose (Internet of Things-IoT), ovvero l’estensione per cui i nostri oggetti acquisiscono intellingenza comunicando dati su se stessi e sull’ambiente che li circonda.

//Internet of Things

L’analisi di Schmidt sull’IoT trova conferma nei dati di una recente ricerca di mercato condotta da Gartner secondo cui entro il 2020 questa rivoluzione arriverà a coprire oltre 26 miliardi di dispositivi connessi. Un numero di gran lunga superiore a quello attuale di smartphone, tablet e pc: l’Internet of Things avrà un impatto sulla società superiore a quello che ha avuto internet stessa.

Sempre Gartner, compagnia leader nella ricerca sull’informazione tecnologica e nella consulenza, dichiara in un report dedicato  che le persone stesse diventeranno “nodi” di internet, producendo sia dati statici che un sistema costante di attività capaci di generare informazioni.

In quest’ottica rispetto all’IoT le città sono leggibili come microcosmi che beneficiano della connesione tra persone, processi, dati e cose. L’evoluzione del concetto di “Smart City” negli anni è stata soggetta a numerosi rielaborazioni, ma una parte è rimasta sempre costante: la parte relativa alla dimensione “smart” è sempre stata connessa con la tecnologia delle informazioni e della comunicazione e internet per rispondere alle sfide urbane. La sfida che ora sorge per progettisti, architetti e urbanisti è ilDigital Urbanism”.

//Efficienza Energetica

Oltre alle sfide legate al passato l’IoT diventa strumento fondamentale anche per il miglioramento di ciò che esiste, come ad esempio nei processi di efficientamento energetico degli edifici pubblici. La Direttiva europea 2002/91/CE, fonte di tutta la recente legislazione in materia di rendimento energetico nell’edilizia, sottolinea che “l’energia impiegata nel settore  residenziale e terziario, composto per la maggior parte di edifici, rappresenta oltre il 40% del consumo finale di energia della Comunità; in questo contesto, gli edifici pubblici   costituiscono   un   considerevole   patrimonio   edilizio   sul   quale   poter intraprendere iniziative di miglioramento del rendimento e di efficienza energetica.

Il modello consolidato di produzione centralizzata di energia elettrica va trasformandosi in quello più articolato e avanzato, sia dal punto di vista tecnologico che gestionale, di generazione distribuita. Tale evoluzione suggerisce un nuovo paradigma per la produzione e distribuzione di energia che vede energia e informazioni veicolate su rete attiva, secondo un modello internet-like, con interazione continua tra produttori e consumatori e scambio costante di informazioni sui flussi di energia prodotta e la richiesta del momento.

Le nuove tecnologie offrono agli obbiettivi di efficenza energetica strumenti rivoluzionari. Di particolare interesse il sistema di smart metering : sistema di controllo basato su reti di sensori (wireless, Pic, RS485) per il monitoraggio in tempo reale dei consumi di luce, gas e acqua. La possibilità di monitorare i consumi con una cadenza molto più serrata che in passato (si passa dai dati della bolletta mensile alle informazioni prodotte ogni ora dagli smart meters) offre opportunità interessanti sia per i consumatori che per i produttori. Ma la massa di dati prodotti non sempre è leggibile. La sfida degli open data, infatti, è aperta.

Ma i cittadini sono pronti ad utilizzare questi strumenti?

//EDEN_Energy Data ENgagement

L’abilitazione al cambiamento trova idealmente sponda nell’educazione ma la scuola fatica ad accogliere le istanze tecnologiche sottese a questi processi. Alcuni esperimenti iniziano a prendere piede, come EDEN_Energy Data ENgagement. Progetto di IREN che nasce dall’idea di utilizzare il paradigma dell’Internet delle Cose per favorire una consapevolezza diffusa sui consumi energetici all’interno delle scuole.


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Il progetto ha coinvolto 3 scuole del quartiere Campidoglio della Città di Torino (Scuola Elementare Gambaro, Scuole Medie Nigra e De Sanctis). In alcune classi, o luogo significativi per la socialità sono stati posizionati dei sensori (in maggioranza rilevatori di parametri termici) distribuiti e connessi a internet. Questi smart meters sono stati integrati a una serie di strumenti di controllo dei dati raccolti (app, siti internet, cruscotti digitali di analisi e gestione dei dati), la cui osservazione permette di elaborare strategie di divulgazione e comunicazione che rendano gli utenti capaci di compiere scelte energetiche razionali e improntate alla riduzione dei consumi.

 

SocialFare® | Centro per l’Innovazione ha contribuito allo sviluppo di una social platform digitale studiata per l’engagement che, dando visibilità e significato a dati raccolti da sensori collocati negli istituti scolastici e in altri edifici e luoghi pubblici, potesse generare consapevolezza e stimoli comportamenti sostenibili negli studenti e, attraverso loro, nella cerchia più ampia di famiglie e cittadini. Il progetto intende sviluppare un sistema di raccolta, rappresentazione e condivisione di informazioni a soggetti diversi (Energy Manager, Studente, Stakeholder), rendendo accessibili e trasparenti i dati afferenti alle “cose” che ci circondano e stimolando l’implementazione di azioni e progetti di efficienza energetica. 

Al termine del progetto, conclusosi a luglio del 2015, è stato prodotta una valutazione dell’impatto sociale generato, rendendo evidente:

– l’importanza centrale degli insegnanti come mediatori di diffusione di consapevolezza e acquisizione di buone pratiche;

– l’importanza del gaming nell’engagement degli studenti;

– le potenzialità di diffusione connesse al ruolo degli studenti all’interno dell’ecosistema scuola-famiglie-quartiere.

La valutazione d’impatto ha coperto tutta la durata del progetto, prevedendo:

//in fase preliminare i rilievi olistici di contesto per evidenziare le specificità delle tre scuole e per studiare le condizioni “ambientali” in cui il progetto veniva realizzato.  

//In fase di implementazione alcuni nostri progettisti hanno proposto laboratori living-lab sia ai docenti che agli studenti con la finalità di co-progettazione la social-platform. L’indagine a chiusura del progetto ha previsto, accanto ad alcune interviste semi-strutturate, la somministrazione di sondaggi on-line ai docenti, e questionari in versione cartacea per  raggiungere studenti e famiglie.

//A chiusura del progetto gli esiti delle nostre ricerche sono stati formalizzati attraverso una data visualization, che ha rappresentato l’impatto sociale generato come una goccia capace di propagarsi attraverso le diverse cerchie coinvolte a seconda dell’estensione degli stakeholder raggiunti.

Il progetto ha vinto il premio SMAU per le Smart Communities.

 

Incontro in SocialFare® con Alessandra Poggiani direttrice dell’Agenzia per l’Italia Digitale

L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha un’ardua impresa da compiere: il 40% degli italiani non usa Internet e ancora troppe piccole imprese (che costituiscono la quasi totalità del  tessuto economico del nostro Paese) considerano la tecnologia digitale una minaccia e non un’opportunità.

Nata due anni fa e rilanciata dal Governo Renzi, l’Agenzia  ha il compito di “garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana in coerenza con l’Agenda digitale europea e contribuire alla diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica”. Un processo di modernizzazione che si rivela impegnativo e complesso in un’Italia che conta oltre il 40% di disoccupazione giovanile e dove almeno un terzo della popolazione non sa nemmeno cos’è il digitale.

images 1Ecco perché Alessandra Poggiani, nuovo direttore dell’Agenzia nominato dal premier Renzi per velocizzare l’attuazione dell’Agenda, sta esplorando ogni possibile strada per attivare una maggiore apertura di questi temi a un pubblico che non sia solo di “addetti ai lavori”, per far crescere trasversalmente la consapevolezza delle opportunità che può offrire la tecnologia digitale. Perché l’AgID non è soltanto strumento di riforma della pubblica amministrazione: la digitalizzazione del Paese può seriamente aiutare la crescita economica e occupazionale. Centrale diventa, dunque, il rapporto con il territorio attraverso una fitta rete di competenze e strutture capaci di veicolare il messaggio e farlo penetrare in profondità nel tessuto produttivo – ma anche culturale e sociale – del Paese.

Ed è in questa direzione che si colloca l’avvio ieri in Piemonte, presente la direttrice dell’AgID, di un’Unità di Progetto in collaborazione con il CSI che permetterà all’Agenzia di lavorare in sinergia con le amministrazioni locali, la società civile e gli operatori economici del territorio. Nel pomeriggio Alessandra Poggiani è stata invitata dal gruppo torinese delle Wister (Women for Intelligent and Smart TERritories), guidato dalla consigliera comunale Nomis Fosca, ad un incontro informale con esponenti dell’associazionismo, dell’imprenditoria e della formazione piemontesi.

L’incontro, che si è svolto presso la sede di SocialFare® nel complesso dell’Artigianelli in corso Palestro 14 – a sottolineare il forte legame tra digitale e innovazione sociale –, ha permesso alla direttrice dell’AgID di rivolgersi a un insieme variegato di realtà su cui l’Agenzia ripone molte aspettative per costruire e consolidare quell’auspicato rapporto col territorio senza il quale gli obiettivi dell’Agenda non sarebbero realizzabili. img per patrizia

Professionisti, manager (presente anche Federmanager, molto attiva sui temi dell’innovazione tecnologica), designer, docenti universitari, imprenditori… hanno rinnovato il loro sostegno. “Occorre dare ampio respiro alla strategia italiana sul digitale – ha detto Poggiani – L’Italia deve recuperare terreno, oggi è indietro rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea e del mondo molto più digitalizzati e avanzati. E dobbiamo essere più concreti: negli ultimi anni si è fatta molta teoria e poca pratica. Anche a costo di sbagliare, è meglio mettere in moto energie che più del pensiero e della progettazione possano incidere sulla realtà”.

Il tema delle competenze digitali, ancora scarsamente diffuse sul territorio italiano, è centrale nell’Agenda e quindi nelle azioni che l’AgID intendere realizzare. Di qui l’elaborazione di un piano (“Coalizione nazionale per le competenze digitali”) che individua priorità, tempistiche e modalità della digitalizzazione, con particolare attenzione alle piccole aziende, per spingere finalmente il processo di modernizzazione del Paese con effetti significativi sulla capacità di crescita economica e di competitività globale. Un Piano abbozzato in sinergia tra settore pubblico e privato e attualmente in fase di consultazione. “Abbiamo chiamato tutto il Paese a proporre progetti che abbiamo un impatto specifico, non teorico – ha detto la direttrice dell’Agid – A febbraio sarà pronto il documento finale”.

foto 3Argomento finora piuttosto trascurato riguarda l’impatto che la digitalizzazione avrebbe sull’occupazione femminile. Tema che durante l’incontro di ieri presso la sede di SocialFare® è stato sollecitato da Wister, rete di donne nata ufficialmente nel 2013 con l’obiettivo di “informare, proporre, segnalare notizie ed eventi riferiti alle tematiche di genere, con particolare riguardo alla nuove tecnologie”. Alessandra Poggiani ha così sottolineato la necessità di sostenere “l’accesso e l’accompagnamento delle giovani donne a un’educazione scientifica e tecnica, indirizzandole maggiormente verso professioni della realtà contemporanea”. Così come è importante sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della digitalizzazione delle imprese anche per la maggiore presenza che le donne avrebbero nel mondo del lavoro.