Articoli

Impatto sociale: perché è importante misurarlo

In un contesto di crisi sistemica che spinge alla ricerca di soluzioni coraggiose e approcci innovativi, gli “investimenti ad impatto sociale” sono al centro di un dibattito internazionale sempre più vivace.

Il bisogno di rendere più efficace ed efficiente la spesa pubblica e di attrarre risorse private per innescare processi di sviluppo è alla base di molteplici tavoli di lavoro, studi e azioni finalizzati a individuare procedimenti di misurazione dell’impatto sociale di un intervento. Misurazione che consenta di quantificare e qualificare il cambiamento positivo generato e “certifichi” la capacità di un progetto di essere sostenibile e replicabile e quindi di attirare capitali, creando anche valore economico.

Donazioni-150x100In Italia (dove più che altrove la misurazione dell’impatto sociale non ha ancora basi solide e condivise) di qui al 2020 potrebbero essere mobilitati circa 30 miliardi di euro per gli investimenti ad impatto sociale. E’ quanto emerge dal Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8 un anno fa per promuovere il mercato dell’investimento ad alto impatto sociale.

Verso una nuova economia

Il rapporto, intitolato “La Finanza che include: gli investimenti ad impatto sociale per una nuova economia”, è stato presentato un mese fa ed è frutto del lavoro di circa 100 esperti in rappresentanza di cooperative sociali e fondazioni bancarie, imprese sociali e investitori privati, non profit e intermediari finanziari, investitori istituzionali, istituti di credito, fondazioni filantropiche d’impresa e università, che insieme hanno individuato 40 proposte da rivolgere al Governo.

La “diffusione degli strumenti della misurazione dell’impatto sia tra le imprese sociali che tra gli erogatori di risorse pubbliche e private” è una delle proposte avanzate, in linea con il lavoro della Task Force (di cui l’Italia fa parte insieme con Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) che si è assunta anche il compito di sviluppare un approccio standardizzato in grado di misurate l’impatto sociale. La prossima riunione della Task Force – che un mese fa ha diffuso un rapporto internazionale risultato di un anno di lavoro – si svolgerà a Roma il 28 e 29 ottobre prossimi.

La necessità di disporre di metodi nuovi per misurare la sostenibilità e il benessere e

Jins

Jins

riuscire così a far fronte alle sfide sociali è più che mai avvertita in un’Europa colpita dalla crisi. Ma l’acquisizione di preziose informazioni utili per valutare gli effetti dell’idea innovativa e aumentarne efficacia ed efficienza non è un lavoro semplice. Gli sforzi per dimostrare il collegamento tra l’attività realizzata e l’effetto, traducendo l’attività in cifre, possono comportare dei rischi e non ottenere risultati adeguati.

Cosa misurare?

Circa un anno fa il Comitato economico e sociale europeo elaborava un parere d’iniziativa illustrando la prospettiva delle imprese sociali nello sviluppo di un metodo di misurazione dell’impatto sociale. Parere che bacchettava ed esortava la Commissione europea a dedicare più tempo ad un esame approfondito dell’argomento in quanto “la misurazione dell’impatto sociale è una questione non solo importante, ma addirittura cruciale per ricostruire un‘Europa a dimensione sociale”. Di qui la necessità di promuovere una raccolta dati, di elaborare un quadro che riunisca i principi su “cosa misurare invece di cercare di definire come misurare l’impatto sociale”.

Ecco allora l’invito ad essere prudenti, considerato che “in numerosi Stati membri la conoscenza dell’imprenditoria e dell’economia sociali e il riconoscimento del loro apporto sono quasi inesistenti. Aprire il dibattito nella prospettiva dell’impatto sociale piuttosto che cercare di promuovere un ambiente propizio allo sviluppo di imprese sociali può quindi rivelarsi controproducente per la crescita del settore”.

Sensibilizzare sui principi più diffusi in questo campo invece di elaborare e raccomandare l’applicazione di un solo metodo specifico è dunque la direzione indicata dal Comitato economico e sociale europeo, che sottolinea: “Un tratto comune a queste iniziative risiede nel fatto che nascono ‘dal basso’ e vengono progettate per inquadrare i mutamenti sociali sulla base di necessità effettive e di attività concrete. Qualsiasi metodo di misurazione va elaborato a partire dai risultati principali ottenuti dall’impresa sociale, deve favorirne le attività, essere proporzionato e non deve ostacolare l’innovazione sociale. Il metodo dovrebbe prefiggersi di trovare un equilibrio tra dati qualitativi e quantitativi, nella consapevolezza che la ‘narrazione’ è centrale per misurare il successo… “.

Un esempio: SocialFare® partner di Slow Food

E’ infatti soprattutto con la narrazione –  raccolta di “storie” ricche di informazioni viste Proposta Grafica_SOSTENIBILITà SOCIALE_Parete Esterna.pdfdalla prospettiva dei beneficiari –  che è possibile valutare il “valore aggiunto” delle attività di un’impresa sociale. Ed è anche alla narrazione che ricorrerà SocialFare® nel lavoro di ricerca che la vede partner del Salone del Gusto e Terra Madre, di cui nelle prossime tre edizioni verrà indagata la sostenibilità sociale, la capacità di innescare e generare cambiamento sul territorio in un equilibrio tra relazioni, comportamenti e azioni.

Indicatori e metriche sono ancora in fase di test. Possiamo però anticipare che SocialFare® procederà per tappe, lungo un percorso che partirà da un’analisi (area d’indagine) dell’ecosistema del Salone, inteso come luogo antropologico di azioni e relazioni in cui il cibo è un attivatore di valore sociale.

Social Outcomes vs.Social Impact by USCREATES (UK)

Social Outcomes vs.Social Impact by USCREATES (UK)

L’indagine  delle attività, delle relazioni, delle sfide e degli obiettivi  porterà a definire gli effetti quantitativi dell’oggetto dell’analisi (output), cioè i dati misurabili, fino alla valutazione della ricaduta a breve, medio e lungo termine sul territorio (outcome): come il Salone è riuscito a modificare i comportamenti al di fuori della sede fisica in cui si svolge, quali effetti sociali ha prodotto. Così verrà dunque valutato l’impatto, che esprime in quale misura un effetto dipende dall’oggetto dell’analisi. Avremo modo di approfondire.

 

“Social Renaissance”: ampia partecipazione e tanti nuovi imput

La volontà di creare per la prima volta in Italia un’occasione di confronto internazionale sulla social innovation si è tradotta, giovedì 26 giugno a Torino presso il teatro Juvarra, in una giornata particolarmente ricca di contributi e di imput. Innovatori sociali provenienti da tutto il mondo si sono alternati in dense sessioni di lavoro da cui è emersa una realtà in fermento che sta costruendo reti che sappiano affrontare le sfide poste dalla crescente disuguaglianza sociale. Una rete di attori pubblici e privati che a livello globale promuovono lo sviluppo di modelli di economia sostenibile e inclusiva.

slideshow_Social-RenaissanceNon a caso la conferenza “Social Renaissance” – il cui titolo definisce un processo volto a riportare al centro delle decisioni politiche le “periferie sociali” – si è svolta a Torino, dove la ricerca di soluzioni innovative per rispondere ai bisogni emergenti ha una lunga tradizione. E non a caso gli spazi che l’hanno ospitata sono quelli del Teatro Juvarra, presso il complesso dell’Artigianelli: “quartier generale” dell’Opera Torinese del Murialdo (che porta avanti l’attività missionaria del santo sociale Leonardo Murialdo a favore di minori e giovani in difficoltà) e dal 2012 anche sede di SocialFare, che insieme con TOP-IX e Torino Social Innovation ha organizzato l’evento. A don Danilo Magni, dunque, il compito di fare gli onori di casa in un teatro destinato a diventare cantiere in progress di cultura e innovazione sociale.

Oltre 30 speakers in rappresentanza di istituzioni, fondazioni e università locali, nazionali, europei e americani hanno raccontato la propria esperienza, tutti spinti dal bisogno di confrontarsi su significato, concetti e pratiche dell’innovazione sociale. Attraverso esempi concreti si è parlato di scalabilità, sostenibilità, partecipazione e cittadinanza attiva, responsabilità, big data, trasversalità, resilienza, imprenditorialità… Della necessità, di fronte alle sfide sociali, di una innovazione che sappia rompere i vecchi schemi, fare incontrare impresa e non profit, convogliare le diversità e spingerle – nel rispetto di ognuna – verso un nuovo modello di sviluppo.

Alcuni esempi. In Canada l’innovazione sociale è ormai una priorità del Governo, mentre in Portogallo il Banco de Inovacao Social sta portando avanti un programma che prevede un cambiamento sistemico, affrontando i problemi alla radice: cioè cominciando già nelle scuole a creare un nuovo atteggiamento di cittadinanza affinché le persone si convincano di poter cambiare le cose. A New York il Public Policy Lab aiuta i cittadini a capirci qualcosa su come vengono assegnate le case popolari e a scegliere in modo consapevole e informato a quale istituto scolastico superiore (tra i 700 esistenti) iscrivere i figli.

E poi, a Baltimora, il sostegno da parte del centro Social Innovation Lab alla nascita di aziende con buone idee da “vendere”, così come a Torino il Comune sostiene la nascita di imprese sociali mettendo a disposizione un insieme di strategie e strumenti attraverso il programma “FaciliTo giovani e innovazione sociale”. Ancora, per restare nel capoluogo piemontese, il Piano “Torino metropoli 2025” vede l’associazione “Torino Internazionale” e il progetto “Torino strategica” impegnati o costituire “visioni, strategie e azioni che promuovono l’identità e lo sviluppo dell’area metropolitana torinese mobilitando tutti gli attori locali”. SR_Illustration

Queste e tante altre esperienze sono state raccontate alla conferenza, che ha visto un’ampia partecipazione di addetti ai lavori, soprattutto giovani. L’innovazione sociale si è chiaramente delineata come un processo sociale, economico, politico e tecnologico in grado di distruggere vecchie barriere. Un processo in cui l’universo italiano delle cooperative sociali e del non profit in generale giocano un ruolo fondamentale per la loro consolidata capacità di intercettare i bisogni e realizzare progetti non standardizzati. Come ha sottolineato Mauro Busa dell’Alleanza cooperative italiane Piemonte, “le cooperative possono fare innovazione sociale, ma sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza nelle metodologie. Il concetto non è così immediato e intuitivo”.

Per essere sostenibile la social innovation ha anche bisogno di risorse finanziarie da attingere a più fonti e con nuove modalità, cambiando il sistema delle regole attuali e individuando nuovi modelli di ingaggio. “I progetti richiedono interventi filantropici, capacità di politica pubblica, energie di mercato e capacità di far cooperare mondi finora distinti”, ha sottolineato Piero Gastaldo della Compagnia di San Paolo.

L’innovazione sociale interpella dunque fondazioni e banche, nell’ambito di un nuovo assetto collaborativo tra diversi soggetti. L’esperienza di Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa San Paolo dedicata al Terzo Settore) rappresenta un esperimento di sostenibilità finanziaria dei progetti realizzati dal Terzo settore, al quale vengono riconosciute caratteristiche proprie ben lontane dalla logica del “for profit”. “I servizi del for profit sono contingentati, mirati, chirurgici – ha detto Marco Morganti – Il bene collettivo non è il loro obiettivo e spesso, quando intervengono nel campo socio sanitario assistenziale, ne escono con le ossa rotta. Alla fine il gioco non è sostenibile”.

Per Banca Prossima, dunque, il criterio di efficienza non è così determinante per la concessione di un prestito: “L’efficienza è sì importante, ma non deve andare contro gli obiettivi sociali di un’organizzazione”, ha continuato Morganti. Più importanti sono invece la fiducia e la rete comunitaria che sostiene il progetto, a garanzia della sua riuscita.

SocialFare ha annunciato durante la conferenza la propria partnership con Young Foundation UK ed esplicitato i soggetti che già si stanno aggregando a livello regionale e nazionale alla piattaforma aperta SocialFare per costruire insieme conoscenza ed imprenditorialità sociali: Rinascimenti Sociali, appunto.

SocialFare® a Bilbao con “Jobs’R’Us”

Tre giorni molto intensi di lavoro, un primo passo per traghettare l’idea “Jobs’R’Us” verso la sua realizzazione concreta. Dal 3 al 5 marzo SocialFare®, tra i 30 semifinalisti  dell’European Social Innovation Competition, è stata a Bilbao per ricevere dagli esperti della Social Innovation Academy indicazioni preziose per sviluppare un project concept che ha dimostrato di avere ottime possibilità di successo.

Prossima tappa del concorso, giunto alla seconda edizione, è l’annuncio ad aprile dei 10 finalisti, dopo che i giudici avranno scelto quelle che ritengono le migliori soluzioni di innovazione sociale per ridurre la disoccupazione. Ricordiamo che è possibile sostenere i diversi progetti (“Jobs’R’Us” è il semifinalist n. 11) votandoli e condividendoli online sull’apposita piattaforma europea.

L’idea innovativa di SocialFare® – premiata con altre 6 realtà italiane su un totale di 1254 partecipanti provenienti dai 28 Stati UE (quasi un terzo dal Bel Paese) – è quella di creare reali opportunità di lavoro a Torino utilizzando gli strumenti e le modalità del crowd-funding e del crowd-sourcing, rendendo i cittadini  partner attivi e protagonisti di sviluppo locale con la condivisione di azioni e obiettivi.

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Appena tornate da Bilbao, le giovani Elena Bologna e Monica Paolizzi, rispettivamente community architect e systemic designer a SocialFare®, ci raccontano come sono andati questi 3 giorni, come si intende sviluppare “Jobs’R’Us”e quali consigli preziosi hanno tratto dai loro mentori.

Allora, come sono stati questi 3 giorni?

Molto concentrati. Eravamo 60 partecipanti più 4 giudici, 15 mentori e lo staff organizzativo. Ogni mentore seguiva da vicino 2-3 gruppi. E’ stata un’ottima occasione per confrontare la nostra idea con altre 29 provenienti da tutt’Europa. Ci siamo resi conto che stiamo portando avanti progetti che rispondono a bisogni analoghi, anche se in zone diverse. Un’occasione anche di condivisione: se l’obiettivo perseguito è il bene comune, la condivisione aiuta a migliorare e a progettare nuove soluzioni, integrando le conoscenze per non disperderle.

A Bilbao si è insistito molto su motivazione e determinazione, che sono le caratteristiche di coloro che vogliono veramente cambiare le cose.

Com’è nata l’idea“Jobs’R’Us”?

Esistono già piattaforme simili che permettono ai cittadini di segnalare i bisogni o le cose che non funzionano nel loro territorio. Noi intendiamo fare un passo avanti, e cioè creare una piattaforma che non dia soltanto la possibilità ai cittadini di denunciare i disservizi, ma anche di proporre nuove soluzioni che generino localmente lavoro. Nel capoluogo piemontese non c’è ancora nulla del genere.

Dopo aver ascoltato il nostro pitch – 90 secondi per riassumere la nostra idea e renderla convincente – i giudici hanno ritenuto il concept interessante per la chiarezza della modalità con cui si intende generare lavoro e per il coinvolgimento dei cittadini.

90 secondi per incuriosire i giudici… Come ci siete riuscite?

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación"

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación)

Parte di questi 3 giorni è stata proprio dedicata alla realizzazione dei pitch. Ci sono state date indicazioni pratiche che si sono rivelate utilissime, dal linguaggio verbale e del corpo alla struttura del discorso in base all’obiettivo da raggiungere. E’ ritenuta molto importante la capacità di comunicare le idee. Li chiamano anche elevator pitch, a sottolineare come la bontà di un progetto debba essere comunicata in modo convincente nei pochi secondi che l’ascensore impiega per salire o scendere. Un’ardua impresa.

Com’erano i pitch degli altri 29 progetti semifinalisti?

Tutti diversi l’uno dall’altro, anche perché lungo il percorso di sviluppo le varie idee portate a Bilbao si collocano non allo stesso punto. Alcuni progetti, ad esempio, sono già sperimentati da anni e il loro principale obiettivo è di ottenere finanziamenti per allargare il raggio d’azione in altri contesti. La nostra idea, invece, è nella fase di finalizzazione della piattaforma e della ricerca della geografia più adatta alla sperimentazione.

Quali sono i punti forti di questa idea?

Una piattaforma online darà ai cittadini di un quartiere torinese (già individuato) la possibilità di segnalare disservizi o bisogni e proporre soluzioni che poi vengono votate e finanziate dagli stessi cittadini e anche da altri stakeholder del territorio attraverso il crowd-funding.

In che modo “Jobs’R’Us” sarà capace di generare lavoro?

I servizi individuati come necessari verranno affidati a disoccupati o sottoccupati del quartiere  – giovani e non – attraverso un’impresa sociale (la stessa che gestirà la piattaforma) che assegnerà il lavoro in base alle competenze; se occorressero nuove competenze, l’impresa si occuperà anche della formazione.

Come vengono individuati i disoccupati?

Alcuni si rivolgono direttamente all’impresa sociale, altri vengono segnalati dalle diverse realtà del quartiere. Il primo obiettivo del progetto sarà di creare una rete tra le molteplici strutture pubbliche e private, per far incontrare la domanda e l’offerta utilizzando risorse che già esistono nel territorio. E’ uno sforzo collettivo per creare lavoro.

Voi avete pensato a un quartiere in particolare, che per adesso non citiamo. Perché proprio quello?

Perché è un quartiere popolare con dinamiche di comunità molto forti. Lì è più facile agire perché c’è senso di appartenenza.

Crediamo che la forza della nostra soluzione risieda proprio nella presenza fisica di un’impresa sociale che faccia leva sul senso di appartenenza, di comunità, di fiducia esistente nel territorio e in una location fisica accessibile e aperta a tutti. Il coinvolgimento degli attori prossimi e estesi prosegue e si mantiene anche tramite le azioni sulla piattaforma online.

Il progetto è secondo voi esportabile in altri contesti?

Sì, e questo era un requisito richiesto dal Premio europeo. Il nostro progetto è adattabile e replicabile in altri contesti, italiani ed europei; si verrebbe così a creare un modello. Esso è inoltre scalabile, nel senso che nel tempo potrà crescere e allargare il proprio raggio d’azione, coinvolgendo un maggior numero di realtà e aumentando le possibilità di cambiamento sociale.

Dopo Bilbao, qual è la prossima tappa?

Abbiamo tempo fino al 21 marzo 2014 per scrivere il progetto nel dettaglio seguendo una traccia che ci è stata data, cui dovremo allegare business plan e tempistiche.

Già, quali sono le tempistiche per la realizzazione del progetto?

Prima dobbiamo creare una rete, mettere radici nel quartiere e sviluppare una versione Beta della piattaforma, cioè il prototipo. Entro la fine del 2014 speriamo di raggiungere questi due obiettivi.