Articoli

Intervista ad Alessandro Lanteri 1/3 | I contorni della Finanza a Impatto Sociale

Il “Global Impact Investing Network,” nato tra il 2007 ed il 2008 su impulso della Rockefeller Foundation, definì per la prima volta la nascente “impact investing industry” come: “gli investimenti fatti da aziende, organizzazioni e fondi con l’intento di generare un benefico e misurabile impatto sociale e ambientale, a fianco di ritorni economici. Gli impact investment possono essere fatti tanto nei mercati emergenti quanto in quelli sviluppati e puntare ad un ritorno superiore o inferiore ai tassi di mercato a seconda delle conseguenze”.

Guglielmo Gori, Social Business Engineer di SocialFare® | Centro per l’Innovazione Sociale e parte del team di accelerazione, intervista Alessandro Lanteri (professore di Imprenditorialità presso la Hult International Business School) per mappare possibilità e caratteristiche di questo nuovo ambito finanziario.

Guglielmo Gori: Buongiorno Alessandro, e grazie per il tempo che ci stai dedicando. Per iniziare ti chiederei di raccontarci un po’ del tuo percorso accademico e imprenditoriale, e i motivi che ti hanno spinto ad avvicinarti alla social entrepreneurship e all’impact investing.

Alessandro Lanteri: non voglio prenderla troppo alla lontana, ma la mia connessione con l’imprenditorialità sociale parte dalla mia irrequietezza rispetto l’ambito accademico. Ho frequentato l’università di Economia Politica, e per diversi motivi questa disciplina non mi è piaciuta: sotto molti aspetti è estremamente astratta, e si basa su ipotesi di egoismo e razionalità eccessivi. Direi che in qualche modo non corrispondeva al mio bisogno di capire il mondo. Subito dopo la laurea ho fatto un master in filosofia economica, e immediatamente dopo un dottorato di ricerca nello stesso ambito. Questa scelta non mi ha impedito di portare avanti anche i miei studi in Economia, soprattutto perché avevo promesso ai miei genitori che se avessi continuato a studiare filosofia non avrei rinunciato a diventare commercialista. Questa promessa mi ha portato a tornare in Italia, dove ho continuato a lavorare in ambito accademico sul tema dell’Etica Economica.

Parallelamente ho iniziato a fare anche attività di consulenza per società cooperative e piccole aziende, legate in qualche modo alla sanità e alla terza età. A questo si aggiunge un ulteriore elemento: l’associazione culturale che fondai nel  2009 grazie ad un  finanziamento, abbastanza grosso, dal Ministero della Gioventù. Con il finanziamento abbiamo creato un incubatore di imprese, e lì (partendo dai miei diversi background) mi sono avvicinato al mondo delle start-up. A seguito di questa esperienza nell’imprenditoria  sociale, ho deciso di tornare a lavorare all’estero. In passato avevo lavorato in tanti luoghi, ma all’epoca sentivo il desiderio di conoscere il medio-oriente. Secondo me queste sono regioni che stanno influenzando sempre di più il mondo in cui viviamo, e che sono molto difficili da conoscere se non ci vai. Quindi sono andato in Libano, dove ho continuato a fare attività con imprese sociali, collaborando in particolare con il primo incubatore di imprese sociali in medio-oriente:  Nabad. Ho lavorato con una società di consulenza, che fa attività con imprese sociali, e abbiamo fatto un progetto di promozione dell’imprenditoria sociale in Tunisia.

Questo è quanto sta alla base del mio interesse nei confronti della finanza a impatto: la finanza di impatto in realtà si lega a tutto quello che ho fatto nella storia della mia vita. Sia rispetto all’esperienza diretta con l’impresa sociale, sia all’’esperienza con gli incubatori di imprese sociali. Ben presto mi sono accorto che molto spesso ci sono barriere nell’accedere ai fondi di investimento, per molteplici ragioni. Una delle risposte a questi limiti è la finanza a impatto. Questo è il modo in cui ho iniziato a interessarmi al tema: un po’ venendo coinvolto, un po’ come estensione del mio interesse nei confronti dell’impresa sociale.

G.G.: Grazie per la panoramica. Direi che se vuoi puoi saltare, anche a livello di continente, dal Libano all’Europa e raccontarci dove sei adesso.

A.L.: Io adesso sono professore associato di Entrepeneurship, nel campus di Londra della Hult International Business School, un’ università privata, che potrei definire “a conduzione familiare” anche se abbiamo sette campus in giro per il mondo. Sono venuto qui per insegnare principalmente imprenditoria sociale, e imprenditoria in senso più esteso. Anche se ora oltre all’imprenditorialità sociale mi interesso molto di innovazione sociale in ambito finanziario: peer to peer lending, crowdfunding, microfinanza, bitcoin, e finanza a impatto. Inutile aggiungere che la finanza ad impatto è uno dei più interessanti e innovativi canali di finanziamento per le imprese sociali.

G.G.: Ci racconteresti un po’ in cosa consiste l’impact investing?

A.L.: Definire l’impact investing è piuttosto complesso a partire dalla sua categorizzazione, spesso identificata come una sorta di industry: un settore che aggrega tutti gli investimenti che si pongono come obiettivo deliberato di generare un impatto sociale o ambientale positivo, ma che al tempo stesso siano in grado di offrire una restituzione del capitale investito e – in quasi tutti i casi – anche un ritorno finanziario positivo. Anche se spesso questo ritorno è inferiore al valore di mercato.

“L’impact investing è piuttosto complesso a partire dalla sua categorizzazione, spesso identificata come una sorta di industry: un settore che aggrega tutti gli investimenti che si pongono come obiettivo deliberato di generare un impatto sociale o ambientale positivo, ma che al tempo stesso siano in grado di offrire una restituzione del capitale investito e – in quasi tutti i casi – anche un ritorno finanziario.”

G.G.: Altro tema rispetto all’impact investing è se considerarlo come una classe di investimento o piuttosto come una “filosofia” nell’investire.

A.L.: Questa definizione ha interessato per diverso tempo e per molte ragioni i primi attori operanti in questo settore. Quando sidefinisce l’impact investing come un asset class, da un punto di vista finanziario, si sta affermando che l’oggetto in questione è un tipo di prodotto: come il debito, i bond, o le azioni. Quindi sarebbe più corretto sostenere che l’impact investing costituisce una categoria di prodotto, perché ha alcune caratteristiche che distinguono i suoi dagli altri prodotti finanziari.

Tuttavia, chiamarlo asset  class è molto interessante perché tu dichiari che esiste una nuova forma di investimento, e tutti coloro che fanno investimenti in qualche modo dicono: ne devo avere un pezzo anch’io! Quando tu crei una nuova asset class i grossi investitori finanziari (gli asset manager) in qualche modo sono “chiamati” ad investire: molti investitori inizialmente hanno investito per questa ragione. E quindi questo è un fenomeno che genera grandissimi interessi economici, grandissimi investimenti. Non dimenticare che le altre asset class possono essere anche valute, o costi monetari. Io penso che in qualche modo la definizione dell’impact investing come asset class sia stato una sorta di strumento promozionale.

Perché quando poi si va a vedere nel dettaglio gli asset class che rientrano in questa categoria, o le tipologie di strumenti finanziari concretamente utilizzati, in realtà sono molto diversi tra di loro. Vanno dall‘investimento nel capitale di rischio (o equity) al debito, fino ad arrivare al grant (che in quanto donazione non va neanche restituito). Per non parlare poi di tutta una serie di forme intermedie, che non sono neanche codificate dalla finanza tradizionale, e che rispondono a dei problemi contingenti.

Oggi, molti considerano un esempio di finanza a impatto quelli che vengono definiti social impact bond. Un esperimento estremamente interessante, ma che non può essere considerato un bond  quanto piuttosto una asset  class a se stante. questi strumenti condividono con le altre forme di finanza a impatto quella che io considero una filosofia: il desiderio deliberato di avere un impatto sociale. Questo è un aspetto non secondario, da tenere in considerare.

Infatti, io in un certo momento posso speculativamente investire in energie rinnovabili, perché mi garantiscono il massimo ritorno dell’investimento quest’anno.Tuttavia, se il prossimo anno il massimo ritorno me lo garantisce il petrolio, io smobiliterò tutto e investirò sicuramente in petrolio. Perché non ho nessun interesse rispetto alla sostenibilità (ambientale e sociale) se non sono un investitore ad impatto. In tal caso la sostenibilità sociale, culturale e ambientale sono talmente importanti per me che sono disposto a rinunciare a una parte del mio ritorno pur di generare impatto positivo. Per questa ragione è importante che l’impatto ci sia, e che sia misurato, perché se no è come dire che io accetto un rendimento più basso perché faccio qualcosa di buono, ma in realtà sto solo avendo delle performance finanziarie scadenti.

G.G.: Si parlava di asset manager. Dal momento che le competenze di questa figura professionale devono variare a seconda dell’asset in cui si investe, quali skill sono richieste nell’ambito della finanza a impatto?

A.L.: Difficile definirlo perché la finanza a impatto nasce da radici diverse, e richiede competenze diverse. Come anche l’imprenditoria sociale. Capire un investimento di finanza a impatto richiede che tu comprenda delle forme societarie che spesso non sono quelle tradizionali. Forme eccezionali, sia per quanto riguarda le strutture di governance che i business model. Inoltre in molti casi questo si sovrappone alla necessità di capire le logiche dei grant, tipici del mondo non-profit. Tieni conto che nel mondo delle finanze tradizionali i grant non sono visti neanche come attività marginali, ma quasi alla stregua di inefficienze del mercato.

Quello che concretamente accade è che dipende dal tipo di finanziatore di cui stai parlando. L’impact investing è un settore sufficientemente nuovo da essere ancora alla ricerca di una categorizzazione definitiva. Il termine stesso non ha neanche dieci anni, anche se esistevano moltissime esperienze precedenti alla coniazione del termine, ma quando tu dai un nome alle cose le persone iniziano a pensarci in modo diverso: a lavorarci, a codificarle, a  definirle. A guardare nel dettaglio cosa hanno in comune con esperienze simili. Questo è un grosso cambiamento.

“L’impact investing è un settore sufficientemente nuovo da essere ancora alla ricerca di una categorizzazione definitiva. Il termine stesso non ha neanche dieci anni, anche se esistevano moltissime esperienze precedenti alla coniazione del termine, ma quando tu dai un nome alle cose le persone iniziano a pensarci in modo diverso: a lavorarci, a codificarle, a  definirle.”

Prendi ad esempio esperienze tipo quella di Black Rock, quello che reputo essere di gran lunga il più significativo asset manager al mondo. Black Rock recentemente, e con recentemente intendo non più di un anno fa, ha creato una branch mastodontica di finanza a impatto e ha assunto come capo una persona che viene da questo ambito(Deborah Winshel, precedentmente presidente e chief operating officer di The Robin Hood Foundation) . Ciò nonostante il loro core continua ad essere quello degli investimenti finance first: investono per i soldi. Ciò nonostante è significativo che anche loro abbiano deciso di investire in questo ambito.

G.G.: Prima accennavi all’ampio spettro in cui la finanza a impatto si muove, riesci a delineare un confine a questo mercato?

A.L.: In realtà il perimetro è piuttosto sfumato, per tante ragioni: prima fra tutte perché gli operatori, gli investitori, sono diversi. Perché gli investee sono diversi, e gli investimenti sono tutti differenti. Molti in forte divenire. Gli investor, se vuoi avere un’idea, vanno dalle charity alle fondazioni private, coprendo alcune banche e grossi investitori privati dotati di grossi patrimoni, senza dimenticare organizzazioni fellowship (come il Rotary). Ci sono tantissimi tipi di investitori diversi, motivati anche da ragioni molto differenti.

In alcuni casi tu puoi avere un investitore che lo fa principalmente per avere un ritorno finanziario, pur avendo ben presente l’obiettivo dell’impatto. Questi investitori sono quelli che noi chiamiamo finance first. E dall’altro lato dello spettro (perché poi in realtà ci sono infinite sfumature in mezzo) hai quelli definiti impact first, che sono quelli che a tutti i costi vogliono un impatto sociale e che sperano di farsi restituire i soldi che hanno inizialmente investito, ma che sono anche disposti a rinunciare ad una parte di questi.

Questi sono i due estremi, in realtà. Ovviamente esistono i casi che possono costituire lo stereotipo dei diversi estremi, ma si tratta di casi limite. Stiamo parlando di un mercato ancora piccolo: anche se rappresenti un estremo dello spettro, puoi coprire una parte molto ampia del range, perché non ci sono sufficienti opportunità di investimento per assistere a una rigorosa articolazione della casistica. A questo devi aggiungere che la tradizione da cui questi investitori  provengono è abbastanza varia. Da una parte troviamo gli investitori che arrivano dal mondo delle fondazioni, abituati al sistema dei grant e delle donazioni liberali, senza aspettative di restituzione. Nonostante ciò  questo sistema nel tempo si è un po’ evoluto, introducendo meccanismi più affini a quelli del venture capital.

In alcuni casi tu puoi avere un investitore che lo fa principalmente per avere un ritorno finanziario, pur avendo ben presente l’obiettivo dell’impatto (finance first). E dall’altro lato dello spettro hai quelli che vogliono un impatto sociale a tutti i costi e che sperano di farsi restituire i soldi investiti, ma che sono anche disposti a rinunciare ad una parte di essi (impact first). Questi sono i due estremi, in realtà: nel mezzo tante diverse sfumature. In ogni caso stiamo parlando di un mercato ancora piccolo:un estremo dello spettro copre una parte molto ampia del range, perché non ci sono sufficienti opportunità di investimento per assistere a una rigorosa articolazione della casistica.

Questo ad un estremo dello spettro. Dall’altro gli investitori tradizionali, che negli anni hanno visto l’interesse da parte del mercato per l’impact investing. Si tratta degli investitori che hanno iniziato con l’avere uno screaning negativo sugli investimenti, scegliendo di evitare le industrie delle armi, dell’alcool o tutte quelle industrie che vengono definite sin industries, cioè industrie del peccato (come ad esempio quella del tabacco). L’idea era: noi quelle cose lì non le sosteniamo finanziariamente perché vuol dire sostenere qualcosa di nocivo per l’economia. Quindi uno screaning che potremmo definire socially responsibile investement. Tutto questo progressivamente ha preso lentamente piede, e adesso ci sono dei fondi di investimento che si chiamano ESG (Environmental, social and governance). Gli ESG sostanzialmente altro non sono che fondi alla ricerca di investimenti che hanno, tutto sommato, una performance positiva e un impatto positivo di qualche tipo. Hai poi il passo successivo: l’impact investing, in cui tu invece massimizzi l’impatto. Sono delle filosofie, diciamo, progressive.

Da una parte quindi tu hai la fondazione che si orienta verso il mercato, e dall’altro hai l’investitore di mercato che progressivamente va verso il sociale. Si incontrano, si sovrappongono, però sono mondi che per il momento rimangono ancora abbastanza distanti. E quindi chi sceglie gli investimenti per la fondazione dovrebbe saperne molto di più di finanza, e chi sceglie gli investimenti per la banca (per usare questi stereotipi) dovrebbe saperne molto di più di impatto. Ritorna qui un po’ il concetto di forme ibride che si applica all’imprenditoria sociale, e che si applica anche alla finanza di impatto.

“Da una parte quindi tu hai la fondazione che si orienta verso il mercato, e dall’altro hai l’investitore di mercato che progressivamente va verso il sociale. Si incontrano, si sovrappongono, però sono mondi che per il momento rimangono ancora abbastanza distanti: chi sceglie gli investimenti per la fondazione dovrebbe saperne molto di più di finanza, e chi sceglie gli investimenti per la banca dovrebbe saperne molto di più di impatto. “

La conversazione con il professor Lanteri continua sul nostro blog, e alla conferenza su “La Finanza per l’Innovazione Sociale” il 10 ottobre: assicurati la possibilità di partecipare registrandoti ora, basta un click!

La prima “Giornata Europea della Microfinanza” | PerMicro

Il microcredito è uno strumento finanziario rivolto a chi non riesce ad accedere al credito tradizionale a causa di mancanza di garanzie reali oppure per insufficiente storico creditizio. Ha origine antiche (le associazioni di credito rotativo in Africa e in Asia, o i Monte di Pietà italiani del XV secolo), ma è negli ultimi secoli che ha conosciuto un significativo sviluppo attraverso l’European Microfinance Network. 

Sempre più si guarda al microcredito non come diritto al credito, ma come diritto allo sviluppodiritto all’iniziativa economica. Questo spostamento prospettico sposta il tema dall’accesso al credito alla responsabilità che esso comporta per tutti i suoi protagonisti, beneficiari compresi: sulla necessità di investimento e sull’importanza della costruzione collettiva del capitale (risparmio).

In Europa il microcredito è associato sempre più fortemente alla tematica dell’inclusione finanziaria e sociale. Il 20 Ott0bre è stata celebrata la prima “Giornata Europea della Microfinanza”. Il tema di riflessione è stato “Cosa accadrebbe se si trasformassero quanti cercano in creatori di lavoro?”. Un evento centrale è stato realizzato a Brussels e una moltitudine di workshop, incontri, esposizioni ed incontri hanno avuto luogo a livello locale nei 28 stati membri.

In questa occasione il presidente PerMicro, Corrado Ferretti, ha preso parte alla High Level Session dell’European Microfinance Day (EMD) presso la European Economic and Social Committee (EESC) alla presenza di Sua Maestà la Regina del Belgio. PerMicro, infatti, è tra i sei istituti di microfinanza firmatari degli accordi che apriranno alle microimprese nuovi accessi ai finanziamenti grazie ad un intervento del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI): 20.000 microimprese europee avranno accesso al credito per un valore di 237.000.000 € nell’ambito del Programma europeo per l’occupazione e l’innovazione sociale (EASI).
PerMicro ha contribuito alla “Giornata Europea della Microfinanza” aprendo le porte delle proprie quattordici filiali, diffuse in tutt’Italia. A Torino l’evento principale si è svolto presso Rinascimenti Sociali. Rappresentanti di istituzioni locali ed europee si sono alternati sul palco:

 

  Programma degli interventi

Andrea LimonePerMicro
Guido GiubergiaFondazione Paideia
Riccardo AgugliaEuropean Investment Fund
Silvia BoschettiCiti
Laura OrestanoSocialFare
Guido BolattoCamera di Commercio di Torino
Luis Alejandro Aonzo – Imprenditore
Stefano GiaquintaAssociazione PerMicroLab Onlus

Con la presenza dell’Assessore alle Attività Produttive della Regione Piemonte, Giuseppina DeSantis e del vicesindaco di Torino, Elide Tisi.

A moderare Francesco Manacorda, Vicedirettore de La Stampa.

 

Foto_permicro-01

Negli spazi di Rinascimenti Sociali, inoltre, è stato possibile incontrare gli imprenditori PerMicro del territorio piemontese che hanno presentato i propri prodotti raccontando la loro esperienza. Tanti gli imprenditori presenti, diverse le etnie di provenienza, estremamente variegate le proposte: dall’asilo per cani di Francesca Mutti (IT) alla musica della chitarra acustica di Maksim Dimitriev (RUS), dal commercio all’ingrosso di cosmetici naturali a base di olio di Argan del marocchino Abdelwahed Talbali al piattaforma di creative meetings di GianLorenzo Lagna.

Up To Youth, percorsi gratuiti per fare impresa

L’11, il 18 e il 25 febbraio prossimi l’associazione nazionale PerMicroLab Onlus propone a Torino – ospite di SocialFare® presso il Collegio Artigianelli di corso Palestro 14 – un percorso gratuito di accompagnamento per giovani fino a 35 anni che vogliono realizzare la propria idea di impresa (due precedenti sessioni si sono svolte in giugno e dicembre dello scorso anno). L’iniziativa UP TO YOUTH si colloca in un più ampio programma di formazione che interessa altre sei città italiane: Napoli, Bari, Catania, Genova, Padova, Pescara. L’obiettivo è quello di agevolare l’ingresso di giovani nel mondo del lavoro attraverso la creazione di imprese e lavoro autonomo.PerMicroLab Onlus, fondata a Torino nel 2003 per favorire il microcredito come strumento di inclusione sociale, persegue scopi sociali quali l’alfabetizzazione finanziaria, la formazione di base per fare impresa, percorsi di accompagnamento (mentoring) a favore di neo o aspiranti imprenditori. Risale al 2007 la nascita di Permicro, la più grande società di microcredito in Italia a favore di famiglie e imprese.banner-up-to-youth-630x250Il progetto UP TO YOUTH è realizzato con il finanziamento di JP Morgan Chase Foundation e il supporto di YBI Youth Business International, rete globale – sostenuta dal Principe di Galles –  che conta 40 organizzazioni indipendenti non profit impegnate ad aiutare i giovani ad avviare e sviluppare la loro attività imprenditoriale.

In Italia, PerMicroLab sostiene la nascita di nuove imprese attraverso una rete di mentor che mettono a disposizione le loro competenze in forma di volontariato. I percorsi di accompagnamento realizzati dall’associazione si inquadrano in un programma nazionale che l’associazione vorrebbe diventasse continuativo e riconosciuto anche dalle istituzioni come strumento efficace per contrastare la disoccupazione giovanile.

Rivolgiamo alcune domande a Maria Teresa Buffa, segretario di PerMicroLab.

A chi si rivolge UP TO YOUTH?

A giovani entro 35 anni, italiani e stranieri, che desiderino mettersi in proprio e confrontarsi su come realizzare il loro progetto di impresa. Non importa se non sanno ancora cosa intendono fare. Nelle passate edizioni hanno frequentato ragazzi usciti dalle scuole professionali, persone disoccupate o intenzionate a cambiare occupazione. L’utenza riproduce la clientela tipo del microcredito, costituita per oltre il 50 per cento da stranieri, con una presenza femminile che supera quella maschile.OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Ogni percorso è seguito in media da 15-20 giovani (200 in tutt’Italia) che dimostrano grande interesse. Vorrebbero realizzare piccole attività (ristorazione, centri di estetica, botteghe artigianali…) e noi li aiutiamo a ragionare e a capire se le loro idee sono economicamente valide. Alcuni richiedono, dopo il corso, un accompagnamento individuale.

E qui entrano in gioco i mentor

Si tratta di pensionati, professionisti o ex imprenditori con esperienza in campo finanziario o gestionale che affiancano i giovani neo imprenditori nella fase di avviamento dell’attività. Contiamo su una rete nazionale di 60 mentor, di cui 5 a Torino. Una rete di persone preparate e motivate che stiamo cercando di incrementare.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIl loro lavoro è gratuito, basato sulla disponibilità, sul passaggio di esperienza da un soggetto all’altro in un rapporto centrato sulla fiducia reciproca, sull’ascolto. L’accompagnamento può avere una durata massima di un paio di anni. Ai giovani vengono insegnati i passi essenziali, anche burocratici, per fare impresa, con la possibilità di accedere al microcredito attraverso Permicro.

Come è strutturato il corso?

Tre incontri di due ore ciascuno. Il primo, guidato da un commercialista, è sull’avvio d’impresa: un inquadramento generale su quali sono i primi passi da compiere. Segue un incontro –  Startuplab – che prevede esercizi pratici di redazione di un business plan. Infine, si affronta l’argomento del credito per l’impresa: un responsabile locale di Permicro offre una panoramica su vari tipi di credito e sul microcredito in particolare, più facile da ottenere per i giovani.

Qual è la vostra rete?

La stiamo costruendo. L’associazione esiste dal 2003, ma è solo dal 2014 che propone interventi strutturati con la collaborazione di istituzioni e realtà che perseguono gli stessi obiettivi. A Torino, abbiamo stretto numerosi accordi (Torino Social Innovation, Action Aid, Rotary 2031, International University College di Torino, Balon Mundial…). Sotto la Mole c’è un fervore di condivisione di rapporti tra associazioni molto stimolante, con grande vivacità di iniziative.

Per iscrizioni e maggiori informazioni:  www.permicrolab.it/uptoyouth,uptoyouth@permicrolab.it, tel. 011 658778