SocialFare® partner del Salone del Gusto e Terra Madre

Oltre mille espositori provenienti da più di 100 Paesi, 86 incontri e conferenze, 53 attività didattiche. Nutrito e ambizioso il programma della decima edizione del Salone del Gusto e Terra Madre  che si svolgerà sotto la Mole dal 23 al 27 ottobre 2014 presso Lingotto Fiere, organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Comune di Torino, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

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Non una fiera, ma un evento che nel corso degli anni ha costruito una rete di solidarietà che valica i confini nazionali fino a raggiungere e connettere Paesi ricchi e poveri. Osservatorio privilegiato di quanto avviene nel mondo, da Nord a Sud, nel campo dell’alimentazione e dell’agricoltura, nonché occasione unica per imporre all’attenzione generale tematiche di centrale importanza quali, ad esempio, la tutela della biodiversità e l’agricoltura familiare, alle quali è dedicata l’edizione 2014.

Politico, sociale, culturale, economico: il messaggio lanciato dalla manifestazione interpella molteplici realtà ed è sostenuto dalla qualità degli attori coinvolti e delle azioni intraprese in un fitto intreccio di relazioni e competenze. E SocialFare®,  primo centro per l’innovazione sociale in Italia, con sede a Torino, non poteva non farne parte.

Dopo aver raggiunto l’obiettivo di “evento a ridotto impatto ambientale” (con una riduzione del 65% rispetto al 2006), il Salone ha deciso infatti di esplorare nelle prossime tre edizioni nuove forme di sostenibilità (sociale, culturale e sensoriale, economica) ideando il progetto “Systemic Event Design” (S.Ee.D), a ulteriore conferma dell’attenzione che il Salone rivolge al territorio.

immagine conf stampa SF_1_blogIl progetto, realizzato con il coordinamento scientifico dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, si avvarrà della collaborazione di SocialFare®, di Design Sistemico Politecnico di Torino e del Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali Alimentari dell’Università di Torino.

SocialFare® sarà responsabile per il focus strategico di analisi sulla sostenibilità sociale dell’evento: studierà cioè l’impatto sociale generato da alcune azioni ed elementi già presenti all’interno della decima edizione della manifestazione.

E a proposito di cibo e design, segnaliamo un altro evento al quale parteciperà SocialFare®:

Dal 10 al 12 ottobre a Torino Esposizioni, in corso Massimo d’Azeglio 15, si svolgerà la quinta edizione di “Operae”, indipendent design festival, appuntamento ormai entrato nell’agenda del design italiano. Sono previsti incontri, dibattiti e workshop nell’ambito di una mostra mercato che offrirà ai designer italiani e stranieri la possibilità di incontrare gli addetti ai lavori, le aziende, i distributori, i negozi.

Sabato 11, dalle 11,30 alle 13,30, SocialFare® parteciperà alla tavola rotonda “Il cibo. Innovazione e design sociale”. Laura Orestano e Roberta Destefanis interverranno sull’”innovazione sociale come driver per l’ideazione, la co-progettazione e lo sviluppo di idee, soluzioni e reti per il Bene Comune e la generazione di ecosistemi di sostenibilità sociale”.

 

Innovazione sociale: dalla pratica alla teoria

E’ ormai centrale nell’agenda politica di mezzo mondo, ma ancora non è chiaro a cosa ci si riferisca esattamente. Si abusa del termine senza che vi sia una definizione precisa, esaustiva  e universalmente accettata. Banalizzazione, retorica, strumentalizzazione sono i rischi che si corrono a parlarne impropriamente. Perché l’”innovazione sociale” – o social innovation – è prima di tutto una pratica, dalla cui osservazione si sta cercando di ricavare una teoria.

Ed è una pratica non nuova: le sue caratteristiche, che da 15 anni circa si tenta di codificare e tradurre in un linguaggio e in una progettualità non approssimativi, le ritroviamo in interventi molto meno recenti. Allora non si parlava di “innovazione sociale”, non esistevano la tecnologia informatica e i social network, ma gli obiettivi erano gli stessi: attivare cambiamenti in grado di migliorare il benessere della società, a livello locale o globale.

Quando un’innovazione è “social”?

Lslide-02’obiettivo del Bene Comune segna la differenza tra queste pratiche sociali e tutte le altre “innovazioni”, ognuna delle quali ha sì un impatto sociale ma non necessariamente “good”, buono. Ecco la definizione – contenuta nella “Guide to Social Innovation” realizzata dalla Commissione Europea” (febbraio 2013) – che secondo SocialFare esprime meglio il concetto:

“L’’innovazione sociale può definirsi come lo sviluppo e l’implementazione di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che incontrano bisogni sociali, creano nuove relazioni sociali e collaborazioni. L’innovazione sociale porta nuove risposte ad impellenti bisogni che coinvolgono processi di interazione sociale. Le innovazioni sociali sono sociali solo se utilizzano strumenti e perseguono fini sociali. Le innovazioni sociali aggiungono valore alla società e aumentano la capacità di azione individuale e di comunità”.

Una definizione che nasce dal bisogno di chiarire cos’è – e cosa non è – una pratica ormai prioritaria nell’elaborazione di politiche volte a un’economia sostenibile e inclusiva, elemento centrale della Strategia Europa 2020 che per rilanciare l’economia ha fissato ambiziosi obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, energia/clima.

Tante definizioni

Nel corso degli ultimi anni, in particolare, il tentativo di codificare la pratica della social innovation per imporla con più efficacia all’attenzione politica si è tradotto in numerosi studi che hanno contribuito nel loro insieme a “spingere” sempre più in alto il concetto, anche se – come si è detto – non si è ancora pervenuti a una definizione unica e continuano ad esserci confusione e ambiguità. Interessante, in proposito, uno studio pubblicato nel 2014 da Tara Anderson, Andrew Curtis e Claudia Wittig, allievi del corso universitario “Master of arts in social innovation” attivato dalla Danube University Krems in collaborazione con il Centro per l’innovazione sociale di Vienna.

Lo studio , intitolato “Definition and Theory in Social Innovation”, analizza le varie teorie fino ad approdare alla proposta di una nuova definizione che in poche parole concentra il significato di “innovazione sociale” quale emerge dal dibattito internazionale in corso. Un dibattito in cui “equality”, “justice” e “empowerment” vengono individuati come obiettivi finali – l’impatto – dei cambiamenti sociali promossi, impossibili da centrare senza la rete (co-creation e co-design). Quella rete di cui la social innovation ha bisogno per ottenere maggiori benefici in termini di replicabilità e scalabilità (replicability e scaling up). Tutti termini su cui ci soffermeremo prossimamente nel nostro glossario.immagine blog_glossario social innovation

Il dialogo con le istituzioni

Le molteplici definizioni finora coniate (ognuna delle quali individua obiettivi specifici in base al contesto sociale di riferimento) arricchiscono e contribuiscono a creare una “teoria” che sia capace di aiutare la pratica, facilitando il dialogo e spingendo le istituzioni a indirizzare maggiori risorse all’innovazione sociale.

La social innovation incontra, infatti, non poche resistenze nel suo tentativo di affermarsi come unica possibile alternativa alle soluzioni, orientate all’assistenzialismo, proposte da un welfare tradizionale ormai incapace (perché privo di adeguate risorse) di soddisfare bisogni sempre più pressanti. Di qui l’esigenza di “rigore scientifico”, di ordine e chiarezza in una pratica che sta dimostrando di essere in grado di offrire soluzioni più efficaci, efficienti e sostenibili ai problemi sociali, di far crescere e responsabilizzare individui e gruppi, di accrescere la capacità (capability) della società di agire…

La Banca dei poveri

Un esempio concreto dove sono presenti tutti gli aspetti dell’innovazione sociale secondo le definizioni attuali: dalla Fondazione della Banca dei poveri (Grameen Bank) in Bangladesh ad opera di Muhammad Yunus, nel 1976, il microcredito si è rivelato un efficace strumento di lotta alla povertà. La rivoluzione introdotta è, però, più una riscoperta che un’invenzione: le radici sono molto più antiche e affondano in Italia, 600 anni fa, con i Monti di Pietà. Un’esperienza plurisecolare che Yunus ha adattato alle caratteristiche specifiche del suo Paese, dove gran parte della popolazione vive nelle campagne.

La Grameen Bank (Banca rurale o di villaggio) è stata fonte di ispirazione e di modelli per le numerose istituzioni del settore del microcredito che sono nate in ogni parte del mondo. Al centro, la creazione di reti di fiducia e di sostegno, la consapevolezza che i sussidi ai poveri non spingono a tirare fuori il talento o la creatività ma fanno sentire la gente passiva, esclusa da qualsiasi progetto di riscatto, perciò incapace di migliorare.

immagine blog_grameen bank_yunus“Il microcredito, invece, “permette ai poveri e agli scalzi di accedere a una opportunità che di solito è esclusivo appannaggio dei ricchi – spiega Yunus – Accade così che quegli aspetti della società che sembravano rigidi, fissi e inamovibili comincino a diventare più fluidi, e attraverso lo sviluppo economico le persone si affranchino da tutto un insieme di ingiunzioni e regole”.

L’idea del microcredito è applicabile ovunque, per quanto il modello vada adeguato e calibrato a caratteristiche diverse. Le molteplici esperienze hanno dimostrato che dare credito ai microimprenditori poveri, in particolare alle donne, è possibile ed economicamente sostenibile, attraverso procedure e modalità che valorizzano l’imprenditorialità e le reti sociali locali.

E’ fondamentale, però, che chi eroga i prestiti rivolga sufficiente attenzione all’accompagnamento, al rispetto, all’acquisizione delle competenze necessarie e, soprattutto, alla costruzione di fiducia e senso di responsabilità. Ecco il valore aggiunto del microcredito: non si limita a finanziare, ma rigenera reti di fiducia. E la fiducia genera reciprocità.

FattiFungo!, non si scarta niente

Ludovico Allasio, Alessandro Balbo, Veronica Gallio, Lorena Mingrone, Dario Toso: sono designer con il comune interesse per la progettazione ecocompatibile. Nel marzo 2013 hanno fondato a Torino l’associazione di promozione sociale e culturale  “Officine sistemiche” , ma già dal 2011 uniscono le forze per “costruire” qualcosa al di fuori dell’ambito universitario, dedicandosi alla concretezza della ricerca applicata.

Team_OSLa collaborazione col Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino si è così evoluta in un percorso indipendente dove l’associazione sta sperimentando sul campo un nuovo modo di fare design, all’insegna delle relazioni tra sistemi diversi e delle connessioni tra realtà eterogenee.

SocialFare li ha scoperti nel 2013, dopo aver lanciato l’Open Call “Fai centro” con cui ha coinvolto giovani fino a 35 anni di età nella creazione di un progetto che identificasse e rappresentasse aspetti dell’innovazione sociale. I 5 designer hanno vinto il bando con “LiberaTutti”, un concept, un’idea per consegnare il quartiere (qualunque quartiere) a chi lo vive, per rendere i cittadini conquistatori dei propri spazi semplicemente “votando” con il loro passaggio strade, vie, percorsi di loro gradimento. L’idea andrà concretizzata, e per questo Officine sistemiche si avvarrà della consulenza progettuale di SocialFare per quanto riguarda gli aspetti di social innovation. Ci ritorneremo.

Adesso, però, vogliamo raccontare un’altra storia, un altro progetto di Officine sistemiche: “FattiFungo!”. Progetto che vede il gruppo all’opera nei boschi della Valle di Susa, alle porte di Torino, intenti a raccogliere scarti verdi (fogliame, sfalci, cellulosa) da miscelare ai fondi di caffè per ottenere terreno fertile in cui far crescere i funghi. Ma cosa c’entra tutto questo col design sistemico? E cos’è il design sistemico? Li abbiamo intervistati.FattiFungo_infografica

Alla vostra associazione avete dato il nome di “Officine sistemiche”. Perché?

“Officine” perché tutto parte da qualcosa di concreto; richiama i valori della bottega artigianale, della cultura materiale, del lavoro manuale. L’aggettivo “sistemiche” si riferisce al concetto di design di sistemi secondo cui, come in natura, durante e alla fine di un processo produttivo non ci sono scarti. Ciò che siamo abituati a definire “scarto” in realtà è una risorsa utilizzabile.

Si lavora come un ecosistema fatto di collegamenti. Se alla fine di un processo non si ha la possibilità di utilizzare una risorsa da esso derivata, ci si mette in relazione con altri soggetti che possano utilizzare quella risorsa. Questa relazione crea rete. Più reti creano più sistemi. E’ chiaro che non si tratta di raccolta differenziata, che presuppone ci sia uno scarto.

E che ruolo gioca il designer in tutto ciò?

La nuova figura di designer ha una responsabilità sociale in quello che fa, crea valore aggiunto. Le scelte che compie all’inizio di un processo sono determinanti. E’ una figura trasversale che non fa solo progettazione, non si limita ai processi industriali, ma conosce bene la materia e lavora perché non ci siano scarti. Si interfaccia con altre realtà, altre competenze, condividendo saperi per realizzare un prodotto che risponda a bisogni che emergono da un’analisi del territorio e della società. E analizzando il territorio scopre che ci sono risorse non valorizzate.

E così avete deciso di coltivare funghi utilizzando risorse non valorizzate…

FattiFungo_workshop2“FattiFungo” nasce da un lavoro di ricerca sui fondi di caffè avviato in università in collaborazione con la Lavazza, per capire che utilizzo si potesse farne. Abbiamo approfondito le sperimentazioni, studiato come, dove e perché crescono i funghi e cercato di individuare le risorse disponibili sul territorio piemontese per la realizzazione del progetto. Abbiamo capito che i fondi di caffè vanno associati ad altri “scarti” verdi, disponibili in abbondanza tra i castagneti del Piemonte. La Valle di Susa è ricca di castagneti. Di solito le foglie che cadono vengono bruciate, invece l’approccio sistemico prevede sì di rimuoverle dal bosco per ripulirlo ma non di bruciarle, utilizzandole in altro modo.

Quindi avevate da una parte i fondi di caffè e dall’altra foglie secche…

Queste due risorse insieme creano il substrato per far nascere i funghi. Un fungo in particolare: il pleurotus, una delle specie più coltivate e conosciute nel mondo. Ed è ottimo. Abbiamo anche fatto una prova culinaria: abbiamo chiesto ad un agriturismo della zona di cucinare separatamente il pleurotus prodotto da noi e quello acquistato nei supermercati, senza che noi sapessimo quale stavamo mangiando. Il nostro pleurotus ha vinto palesemente.FattiFungo_piatti

Dove lo avete coltivato?

In una cantina di Giaglione, sufficientemente umida. La proprietaria ha un castagneto, le foglie le abbiamo raccolte lì. Abbiamo recuperato i fondi di caffè dai bar della zona, abbiamo tagliuzzato le foglie per velocizzare il processo e poi le abbiamo bollite per capire se era necessaria la sterilizzazione. Sì, era necessaria. La sperimentazione è durata un anno. Nel substrato abbiamo aggiunto il micelio, l’apparato vegetativo del fungo.

Qual è l’obiettivo del progetto?

Divulgare la metodologia. Il nostro obiettivo non è vendere funghi, ma sensibilizzare sul fatto che non esistono scarti. E poi vorremmo promuovere una coltivazione diffusa sul territorio, per creare un prodotto del territorio, per aggiungere al territorio identità e ricchezza. Non sono necessari grandi investimenti. In valle ci sono tante cantine da sfruttare per la coltivazione.

Avete anche preparato un minikit per coltivare i funghi in casa…

FattiFungo_KitSi tratta di un sacchetto diviso in 3 parti: uno contiene il micelio, un altro gli scarti legnosi e il terzo, vuoto, va riempito coi fondi di caffè. Occorre tenerlo al buio per una settimana e poi spostarlo alla luce. Adesso usiamo il minikit a scopo promozionale, in occasione di fiere ed eventi.

Quest’anno avete realizzato un altro progetto innovativo: “DoubleCLICK”. Di cosa si tratta?

E’ nato dall’esigenza di stampare su materiale non convenzionale di dimensioni non adatte a una stampante tradizionale. Il sistema si compone di 2 mouse collegati a un pennarello e a supporti tecnologici. Il computer visualizza l’immagine da stampare, muovendo il mouse il pennarello disegna dove passa il puntatore. Il pennarello sa cosa deve fare, tu lo accompagni sul foglio. Con DoubleCLICK  ogni disegno è unico e originale in base ai movimenti della persona che lo esegue.DoubleCLICK

Il progetto “DoubleCLICK” sarà presente a Roma dal 3 al 5 ottobre nell’ambito dell’evento “Maker Faire” , seconda edizione europea della mostra dedicata agli inventori del nuovo millennio in programma all’Auditorium Parco della Musica.  Occasione per toccare con mano le invenzioni più innovative quali robot, stampanti 3D, vestiti intelligenti, elettronica open source e oggetti di design ad alta tecnologia. La manifestazione – promossa dalla Camera di Commercio di Roma e curata  da Massimo Banzi, cofondatore di Arduino, e Riccardo Luna – ospiterà 500 espositori, workshop, educational ed eventi interattivi.

“Social Renaissance”: ampia partecipazione e tanti nuovi imput

La volontà di creare per la prima volta in Italia un’occasione di confronto internazionale sulla social innovation si è tradotta, giovedì 26 giugno a Torino presso il teatro Juvarra, in una giornata particolarmente ricca di contributi e di imput. Innovatori sociali provenienti da tutto il mondo si sono alternati in dense sessioni di lavoro da cui è emersa una realtà in fermento che sta costruendo reti che sappiano affrontare le sfide poste dalla crescente disuguaglianza sociale. Una rete di attori pubblici e privati che a livello globale promuovono lo sviluppo di modelli di economia sostenibile e inclusiva.

slideshow_Social-RenaissanceNon a caso la conferenza “Social Renaissance” – il cui titolo definisce un processo volto a riportare al centro delle decisioni politiche le “periferie sociali” – si è svolta a Torino, dove la ricerca di soluzioni innovative per rispondere ai bisogni emergenti ha una lunga tradizione. E non a caso gli spazi che l’hanno ospitata sono quelli del Teatro Juvarra, presso il complesso dell’Artigianelli: “quartier generale” dell’Opera Torinese del Murialdo (che porta avanti l’attività missionaria del santo sociale Leonardo Murialdo a favore di minori e giovani in difficoltà) e dal 2012 anche sede di SocialFare, che insieme con TOP-IX e Torino Social Innovation ha organizzato l’evento. A don Danilo Magni, dunque, il compito di fare gli onori di casa in un teatro destinato a diventare cantiere in progress di cultura e innovazione sociale.

Oltre 30 speakers in rappresentanza di istituzioni, fondazioni e università locali, nazionali, europei e americani hanno raccontato la propria esperienza, tutti spinti dal bisogno di confrontarsi su significato, concetti e pratiche dell’innovazione sociale. Attraverso esempi concreti si è parlato di scalabilità, sostenibilità, partecipazione e cittadinanza attiva, responsabilità, big data, trasversalità, resilienza, imprenditorialità… Della necessità, di fronte alle sfide sociali, di una innovazione che sappia rompere i vecchi schemi, fare incontrare impresa e non profit, convogliare le diversità e spingerle – nel rispetto di ognuna – verso un nuovo modello di sviluppo.

Alcuni esempi. In Canada l’innovazione sociale è ormai una priorità del Governo, mentre in Portogallo il Banco de Inovacao Social sta portando avanti un programma che prevede un cambiamento sistemico, affrontando i problemi alla radice: cioè cominciando già nelle scuole a creare un nuovo atteggiamento di cittadinanza affinché le persone si convincano di poter cambiare le cose. A New York il Public Policy Lab aiuta i cittadini a capirci qualcosa su come vengono assegnate le case popolari e a scegliere in modo consapevole e informato a quale istituto scolastico superiore (tra i 700 esistenti) iscrivere i figli.

E poi, a Baltimora, il sostegno da parte del centro Social Innovation Lab alla nascita di aziende con buone idee da “vendere”, così come a Torino il Comune sostiene la nascita di imprese sociali mettendo a disposizione un insieme di strategie e strumenti attraverso il programma “FaciliTo giovani e innovazione sociale”. Ancora, per restare nel capoluogo piemontese, il Piano “Torino metropoli 2025” vede l’associazione “Torino Internazionale” e il progetto “Torino strategica” impegnati o costituire “visioni, strategie e azioni che promuovono l’identità e lo sviluppo dell’area metropolitana torinese mobilitando tutti gli attori locali”. SR_Illustration

Queste e tante altre esperienze sono state raccontate alla conferenza, che ha visto un’ampia partecipazione di addetti ai lavori, soprattutto giovani. L’innovazione sociale si è chiaramente delineata come un processo sociale, economico, politico e tecnologico in grado di distruggere vecchie barriere. Un processo in cui l’universo italiano delle cooperative sociali e del non profit in generale giocano un ruolo fondamentale per la loro consolidata capacità di intercettare i bisogni e realizzare progetti non standardizzati. Come ha sottolineato Mauro Busa dell’Alleanza cooperative italiane Piemonte, “le cooperative possono fare innovazione sociale, ma sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza nelle metodologie. Il concetto non è così immediato e intuitivo”.

Per essere sostenibile la social innovation ha anche bisogno di risorse finanziarie da attingere a più fonti e con nuove modalità, cambiando il sistema delle regole attuali e individuando nuovi modelli di ingaggio. “I progetti richiedono interventi filantropici, capacità di politica pubblica, energie di mercato e capacità di far cooperare mondi finora distinti”, ha sottolineato Piero Gastaldo della Compagnia di San Paolo.

L’innovazione sociale interpella dunque fondazioni e banche, nell’ambito di un nuovo assetto collaborativo tra diversi soggetti. L’esperienza di Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa San Paolo dedicata al Terzo Settore) rappresenta un esperimento di sostenibilità finanziaria dei progetti realizzati dal Terzo settore, al quale vengono riconosciute caratteristiche proprie ben lontane dalla logica del “for profit”. “I servizi del for profit sono contingentati, mirati, chirurgici – ha detto Marco Morganti – Il bene collettivo non è il loro obiettivo e spesso, quando intervengono nel campo socio sanitario assistenziale, ne escono con le ossa rotta. Alla fine il gioco non è sostenibile”.

Per Banca Prossima, dunque, il criterio di efficienza non è così determinante per la concessione di un prestito: “L’efficienza è sì importante, ma non deve andare contro gli obiettivi sociali di un’organizzazione”, ha continuato Morganti. Più importanti sono invece la fiducia e la rete comunitaria che sostiene il progetto, a garanzia della sua riuscita.

SocialFare ha annunciato durante la conferenza la propria partnership con Young Foundation UK ed esplicitato i soggetti che già si stanno aggregando a livello regionale e nazionale alla piattaforma aperta SocialFare per costruire insieme conoscenza ed imprenditorialità sociali: Rinascimenti Sociali, appunto.

E’ il momento di “Social Renaissance”

“Social Renaissance” per sfidare la disuguaglianza attraverso l’innovazione d’impatto: è la proposta che domani sarà al centro della conferenza internazionale organizzata da SocialFare, TOP-IX e Torino Social Innovation, dalle 9,30 alle 17 presso il Teatro Juvarra di Torino.

slide-02Una conferenza che nasce dal bisogno – nel contesto attuale di crisi che vede crescere le disuguaglianze sociali – di ridefinire il significato, i concetti e le pratiche di innovazione chiamando a raccolta i sempre più numerosi attori pubblici e privati che a livello globale promuovono lo sviluppo di modelli di economia sostenibile e inclusiva. Importante occasione di confronto, condivisione  e spinta verso l’implementazione di nuove idee, relazioni e collaborazioni ispirate al concetto di “Rinascimenti Sociali”.

La presenza di significative realtà che generano innovazione pone il capoluogo piemontese al centro di relazioni internazionali. Così la conferenza di giovedì 26 giugno riunirà per la prima volta in Italia una comunità di innovatori sociali provenienti da tutto il mondo. Sono previsti 30 relatori, che aiuteranno il pubblico ad esplorare il processo di “Social Renaissance”.

Agli “addetti ai lavori” si affiancheranno rappresentanti di istituzioni, fondazioni e università locali, nazionali, europei e americani: dal sindaco di Torino Piero Fassino al neo presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, da Filippo Addarii e Simon Willis di “The Young Foundation” (Londra, UK) a Raj Kottamasu di “Public Policy Lab” (New York, USA) e Kunal Parikh di “Social Innovation Lab” (Baltimora, USA), da Maria Marques Pinto del “Banco de Inovacao Social” (Lisbona, PT) a Giovanna Melandri di “Human Foundation” (Roma, IT) a Marco Morganti di Banca Prossima.

Così il Terzo Settore può aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi

Il manifesto “Fiducia e nuove risorse per la crescita del Terzo Settore” ha fatto tappa a Torino. L’incontro che si è svolto giovedì 19 giugno presso la Casa della Cooperazione rappresenta il secondo (dopo Salerno) dei dieci appuntamenti del roadshow che nei prossimi mesi porterà il documento in giro per l’Italia. Occasione di progettazione condivisa sul territorio che chiama a raccolta  le realtà del non profit, la finanza specializzata e le fondazioni di origine bancaria e non affinché insieme promuovano e sostengano “un’altra economia, basata non sul profitto ma sulla partecipazione e sulla produzione di bene comune”. Un’economia sociale e solidale che faccia uscire l’Italia dalla crisi.

Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, Assifero, Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparo, Fondazione con il Sud, Forum del Terzo Settore, Alleanza Cooperative Italiane e Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata al non profit laico e religioso) si sono dunque alleati firmando a Roma nel dicembre scorso un manifesto in grado di creare le condizioni per “far incontrare le migliori idee e tutti gli strumenti di supporto disponibili”. Strumenti finanziari moderni, innanzi tutto, che aiutino il Terzo Settore a sviluppare le sue enormi potenzialità e ad essere volano per la ripresa economica.

body_condivisioneIl non profit (associazionismo di promozione sociale, volontariato, cooperazione) è capace, infatti, di generare occupazione: le cooperative sociali, ad esempio, dal 2011 al 2013 hanno creato 20 mila nuovi posti. Ancora, secondo l’ultimo censimento Istat in Italia le organizzazioni del Terzo Settore sono cresciute in dieci anni del 28% con un aumento degli addetti pari al 39,4%. In Piemonte le realtà sono 25.962, di cui 11.099 nella provincia di Torino. Ed è nel torinese che il non profit è più strutturato in senso imprenditoriale, con una più accentuata presenza di lavoratori retribuiti e un maggior risultato economico.

I quasi 5 milioni di volontari e 1 milione tra lavoratori e soci a livello nazionale rendono numericamente le dimensioni di una realtà di cui lo stesso Governo italiano si è “accorto”, dedicandole grande attenzione con un progetto di riforma di cui sono state recentemente rese note le linee guida. Ma ci sono altri numeri che meritano considerazione, sottolineati nel corso dell’incontro a Torino dal ricercatore Euricse Flaviano Zandonai: l’Istat ha misurato anche il livello di competenza degli addetti, da cui è risultato che il 18% di coloro che sono retribuiti hanno competenze di alto livello. Così come è emerso che il 20% dei volontari è costituito da giovani.

Insomma, il non profit italiano è un settore vitale e dinamico da cui può partire un nuovo modello di sviluppo del Paese. A patto che si sappia dove e come investire, secondo strategie che superino l’approccio del “giorno per giorno” e la logica emergenziale. Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima, ha evidenziato come il credito finora erogato al non profit (e restituito, dato più che positivo, nel 98,8% dei casi) sia stato investito prevalentemente in progetti a breve termine, mentre sono quelli a medio-lungo termine che “fanno la crescita vera del Terzo Settore”.Donazioni-150x100

Quali progetti, dunque? Guido Geninatti, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Italiane settore sociale del Piemonte, ha indicato alcuni ambiti di intervento su cui scommettere: la cura delle persone non autosufficienti, la salute del territorio (con servizi che vengano prima e dopo la fase ospedaliera), l’housing sociale, la tutela del patrimonio ambientale e culturale … Ambiti in cui sperimentare nuove soluzioni che perseguano obiettivi di efficienza e di economicità, di innovazione di prodotto e di rigenerazione di beni immobili e spazi pubblici. “Il settore del privato sociale – ha dichiarato Marco Demarie, capo Uffici studi e programmazione della Compagnia di San Paolo – può e deve dotarsi di modalità di organizzazione più efficienti senza per questo smarrire la sua vocazione orientata al bene collettivo e la sua ispirazione morale. Uno dei temi legati alla maggiore efficienza nell’uso delle risorse ha a che fare con l’uso intelligente del credito”.

E’ nel quadro della convergenza tra profit e non profit che si colloca l’innovazione sociale. Anche se,  ha sottolineato Anna Di Mascio, portavoce piemontese del Forum Terzo Settore, “non può esserci innovazione se le dimensioni economica e sociale non vengono intrecciate e valutate insieme. L’innovazione dei prodotti non basta”.  Ecco allora la necessità di precisare quali sono gli elementi cardini dell’innovazione sociale: cos’è, come si fa, come si inserisce in un contesto di crisi che vede il ricorso sempre più frequente ad antiche forme assistenziali come, ad esempio, la distribuzione dei pacchi viveri? Una risposta, a conclusione dell’incontro, è arrivata da Elide Tisi, vice sindaco di Torino: “La sfida è di provare a strutturare delle risposte nell’emergenza: è questa la vera innovazione. L’innovazione non può nascere a tavolino ma nella pratica, di fronte all’emergenza, magari anche recuperando modalità antiche, che vanno però strutturate”.

 

“Fiducia e nuove risorse per la crescita del Terzo settore”: intervista a Pietro Barbieri

Oltre 301 mila organizzazioni, 950 mila posti di lavoro, 681 mila dipendenti, 4,7 milioni di volontari, entrate pari al 4,5 per cento del Pil. I numeri del Terzo settore descrivono un mondo in crescita: dal 2001 ad oggi le organizzazioni e gli addetti sono aumentati rispettivamente del 28%  e 39%; le sole cooperative sociali dal 2011 al 2013 hanno creato 20 mila nuovi posti di lavoro.

untitledE’ il ricco e variegato mondo del non profit italiano (associazionismo di promozione sociale, volontariato, cooperazione), che agisce là dove il welfare pubblico non arriva o si sta ritirando. Un mondo che oggi attende una riforma che sappia raccogliere sfide importanti, a partire dall’aggiornamento di tecniche e metodologie della raccolta fondi (rivedendone anche il senso) e dal rafforzamento dell’internazionalizzazione, fino alla creazione di una rete che faccia crescere l’aggregazione e migliori l’efficienza degli interventi, passando per la riduzione degli sprechi e l’esplorazione di terreni di interesse collettivo nuovi.

In particolare, le nuove richieste e necessità economico-finanziarie del settore non profit richiedono strumenti innovativi. La raccolta fondi non è meno importante del reclutamento dei volontari e le risorse cui attingere sono rappresentate oggi dal risparmio privato, che in Italia – secondo dati riferiti al 2011 – vale oltre 8 miliardi di euro, 4 volte e mezza di più del debito pubblico.Donazioni-150x100

E’ ai cittadini, dunque, che si chiederà sempre più di finanziare, di investire (ottenendone anche dei ricavi) su progetti sociali che producono bene comune. Ed è in questa direzione che si colloca il Manifesto “Fiducia e nuove risorse per la crescita del Terzo Settore”, un’alleanza tra le principali realtà produttive e sociali del Paese: organizzazioni non profit, fondazioni di origine bancaria e non, finanza specializzata.

Il Manifesto è stato firmato a Roma nel dicembre scorso e attualmente sta girando l’Italia attraverso eventi di presentazione finalizzati alla costruzione di reti locali. A Torino, come abbiamo già annunciato due settimane fa, l’iniziativa sarà illustrata giovedì 19 giugno alle 10 presso la Casa della Cooperazione in corso Francia. Ulteriore contributo al vivace dibattito in corso sulla riforma di un settore a cui l’attuale Governo – che peraltro dal prossimo mese assumerà fino alla fine del 2014 la presidenza del Consiglio dell’Unione europea – promette di dare nuovo impulso.

Sul Manifesto e sulle prospettive di sviluppo del mondo non profit abbiamo rivolto alcune domande a Pietro Barbieri, portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore.

Come si è arrivati al Manifesto?

1554390_668044719911749_2234013227615667838_nOccorre un’azione che promuova la capacità oggettiva del Terzo settore nell’acquisizione di strumenti a sostegno della propria attività. Il Manifesto nasce dalla voglia di mettere insieme soggetti privati per sviluppare capacità nuove, innovative, di relazione tra soggetti che compongono e costruiscono le opportunità del Terzo settore: cittadini impegnati, banche, fondazioni…  E’ il primo tentativo del genere che si fa, attraverso la costruzione di tante reti nel territorio.

In concreto, come agirà questa rete?

Non c’è nessuna velleità particolare di costruire nuove forme di rappresentanza, ma si intende veicolare nei territori, nel concreto dell’agire, la condivisione di obiettivi generali. Da un lato, le entità del Terzo settore conoscono le opportunità che oggi ci sono di trovare sostegni finanziari: ormai quasi tutte le banche riconoscono che il Terzo settore crea loro poche sofferenze perché difficilmente porta i libri in tribunale. Dall’altro lato, le fondazioni di origine bancaria si pongono non solo come erogatori, ma come costruttori di opportunità, interpretando i bisogni del territorio e cercando di dare risposte con bandi specifici.

In Italia il Terzo settore sta crescendo…

Cresce in particolare la partecipazione dei giovani. Una partecipazione che molto spesso è informale, non legata all’adesione a organizzazioni ma alla disponibilità a fare volontariato nei momenti di bisogno. Durante l’emergenza in Sardegna per l’alluvione del novembre scorso, ad esempio, i giovani sono stati centrali: se non ci fosse stata una loro mobilitazione avremmo avuto molti più morti.  body_condivisione

 Le prestazioni e i servizi che il Terzo settore eroga attraverso il lavoro devono trovare nuove forme di sostegno, ad esempio coinvolgendo i cittadini risparmiatori: come contate di conquistare la loro fiducia?

Il nostro Governo spende nelle politiche sociali meno della metà della media europea: tra i 27 Paesi, noi siamo agli ultimi posti per il Pil. Ad esempio, la spesa pubblica per l’assistenza agli anziani è ridotta, mentre quella privata delle famiglie non è ancora stata intercettata dal Terzo settore. Quando i Comuni hanno creato i servizi sociali grazie alla spinta dei movimenti, si pensava a una graduale progressiva salita della spesa pubblica per garantire servizi ad anziani non autosufficienti. E invece si è tagliato. Si era cercato, da un lato, di costruire il diritto di tutti i cittadini in difficoltà ad avere assistenza e, dall’altro, di costruire un sistema che desse dignità al lavoro sociale.

La mancata crescita del welfare ha dato vita alla spesa privata delle famiglie, ma soprattutto ha determinato la costruzione di una politica nazionale in cui improvvisazione e lavoro nero hanno impedito la crescita di valore del lavoro sociale. Occorre professionalizzare il lavoro delle assistenti familiari.

Altro ambito di intervento è quello dei beni comuni: nel nostro Paese i beni architettonici, culturali, paesaggistici sono mal gestiti. Già oggi il Terzo settore interviene con iniziative, ma occorre una strutturazione solida e forte per cogliere le nuove opportunità di valorizzare il nostro territorio anche attraverso  risorse adeguate messe a disposizione dai cittadini. Un esempio: in un paese delle colline emiliane un gruppo di cittadini ha creato una cooperativa per occuparsi a proprie spese di un’antica fontana abbandonata e per garantirne la cura anche in futuro. Questo è il messaggio che oggi siamo nelle condizioni di trasmettere.

Altra sfida: l’internazionalizzazione

innovazione-terzo-settore-crisiIn Italia abbiamo un modello del Terzo settore che si distingue da quello anglosassone per i presupposti di democrazia (si vota per eleggere i rappresentanti), forte partecipazione e lotta alle disuguaglianze sociali. Questa nostra cifra può trovare un suo riconoscimento anche in altri luoghi dove vi sono strategie che condizionano la vita del nostro stesso Paese: condizionare cioè la società civile degli altri Paesi perché condizionino i loro Governi ad adottare politiche espansive.

Le nostre reti nazionali e le relazioni europee costruite da molte Ong sono gli strumenti per perseguire questo obiettivo.

A luglio l’Italia assumerà per sei mesi la presidenza del Consiglio dell’Unione europea: quali speranze riponete in questo semestre?

Prima questione: ragionare attorno alle politiche di austerità introdotte che hanno un impatto sociale sempre più pesante. Seconda: avere garanzie che una regolamentazione di tipo europeo del Terzo settore non vada a frustrare l’identità stessa del non profit. Non deve circolare l’idea del “low profit”, trasformando l’impegno civico dei cittadini in un interesse di qualcuno. Il tentativo di leggere la crisi del welfare come momento per avvicinare mondo delle imprese a quello del non profit può portare alla creazione di sinergie comuni. Se ciò non andasse in porto, vincerebbe l’impresa.

 

Progettista sociale: ecco un nuovo mestiere. A Torino 20 borse di studio per impararlo

Come già annunciato su questo blog la scorsa settimana, giovedì 12 giugno avrà inizio un ciclo di incontri organizzato dall’Accademia di Progettazione Sociale Maurizio Maggiora  in collaborazione con SocialFare. Gli appuntamenti, gratuiti, sono rivolti a giovani interessati a conoscere i processi per realizzare progetti sociali sostenibili.

Slogan-finale_v3-11-212x300Si tratta di seminari tematici introduttivi, una base di partenza per chi – dopo un “assaggio” – maturasse un reale interesse per questa professione. Perché di professione si tratta, e compito dell’Accademia è proprio quello di insegnare questo mestiere. Dopo aver partecipato agli incontri, aperti a tutti purché di età compresa tra i 18 e i 35 anni, a luglio gli interessati potranno essere selezionati per l’assegnazione di 5 borse di studio che consentiranno di accedere al corso base previsto da ottobre 2014 ad aprile 2015: 11 appuntamenti cui parteciperanno 20 ragazzi, tutti borsisti grazie al sostegno dell’associazione ProSpera, del Gruppo 2 del Distretto 2031 del Rotary Club e del Rotary Club Torino Sud Est.

Per capire meglio di cosa si tratta e come sta mutando il quadro di riferimento, rivolgiamo alcune domande a Federico Maggiora, fondatore e presidente dell’Accademia, da quasi 25 anni impegnato nel sociale e, soprattutto, nella progettazione.

Quando e da quale bisogno nasce l’Accademia?

E’ nata ufficialmente il 7 gennaio 2013, dedicata a mio padre Maurizio Maggiora a 20 anni dalla sua scomparsa. Il progetto, però, risale a due anni e mezzo fa: un lungo periodo di incubazione per capire se ci fosse bisogno di una realtà del genere e per definire il modello d’intervento in base alle evoluzioni della figura del progettista sociale.logo

E avete concluso che effettivamente ce n’è bisogno…

Sì, e dopo aver studiato e analizzato il terzo settore abbiamo capito che tipo di approccio dare al progetto. Ce n’è bisogno perché la figura del progettista cambia. Io faccio parte dell’Associazione italiana progettisti sociali, nata nel 2009, e ho potuto rilevare come l’approccio classico – che era quello di partecipare ai bandi con un progetto scritto per ottenere i fondi – sia ormai superato: oggi occorrono anche capacità realizzative, manageriali, non basta portare i soldi a casa. Si sta andando, ed è questa la nostra scommessa, verso una figura professionale molto più trasversale, si cercano figure che abbiano una visione di processo e contesto (mercato, relazione, rete), che sappiano dare valore al progetto, non solo dal punto di vista economico; ci sono, infatti, progetti a basso costo ma dal valore inestimabile.

E quando si parla di “sociale” non si parla solo di terzo settore: anche l’azienda ha necessità di queste figure con capacità di visione e metodo. Si tratta insomma di figure ricercate anche dai contesti aziendali.

Quali sono allora i vostri obiettivi?

Offrire visione e metodo, cambiare il terzo settore italiano e dare ai giovani un’opportunità di lavoro scommettendo su nuovi mestieri.

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Quali caratteristiche deve avere un progettista sociale?

Sicuramente capacità creativa e di visione, saper vedere le situazioni come opportunità, con un punto di vista “altro”. Determinazione nel perseguire l’obiettivo, capacità di lettura del rischio, grande capacità comunicativa e di fare squadra. Curiosità, motivazione e anche capacità commerciale, perché c’è tutto un pezzo che riguarda la vendita del progetto.

Cosa si impara dunque all’Accademia?

Visione e metodo, innanzi tutto. Lo strumento è una diretta conseguenza del metodo e ci interessa far capire il “perché” lo si usa più che il “come”. Ci definiamo laboratorio, non centro formativo: il mestiere del progettista si impara sul campo, accanto a persone che hanno esperienza. Qui si fa una didattica molto pratica e poco teorica. “Saper fare” sono le parole chiave della metodologia dell’Accademia.

Al nostro primo corso base abbiamo avuto come partecipanti ragazzi provenienti dal mondo del volontariato, con una cultura prevalentemente umanistica e molto legata al concetto di “bando”: per loro la progettazione sociale si limitava infatti alla partecipazione a un bando. Abbiamo cercato di educare loro e gli enti che li hanno segnalati a ragionare in un’ottica di ideazione, pianificazione, organizzazione e coordinamento progettuale: dopo aver individuato bisogni e obiettivi, occorre definire la sua sostenibilità (come e per quanto tempo è in grado di stare in piedi) e i processi per realizzarlo, con quale team, con quali partner, con quali fondi…

Da chi sono segnalati i partecipanti? Come li reclutate?

I giovani partecipano ai nostri corsi grazie a borse di studio attivate in partnership con reti pubbliche e private, laiche e religiose,  con le quali definiamo l’iter di selezione dei potenziali progettisti e individuiamo i progetti sui quali incentrare la didattica.

Il corso base che si svolgerà da ottobre 2014 ad aprile 2015 sarà aperto a giovani provenienti dalla cooperazione sociale e dal mondo religioso: i partecipanti saranno divisi in piccoli gruppi, seguiti da docenti e tutor specializzati in project management e nella gestione di progetti sociali.

Nel primo corso base organizzato dall’Accademia si è lavorato su progetti elaborati dalle stesse organizzazioni che vi hanno segnalato i giovani. Anche nel prossimo sarà così?

No, nel corso che partirà in ottobre lavoreremo su idee, con l’obiettivo di farle evolvere in progetti realizzabili e sostenibili. L’anno scorso abbiamo riscontrato che non tutti i progetti proposti erano “progetti”, alcuni erano poco sostenibili mentre altri erano già in fase avanzata di realizzazione e non potevamo stravolgerli.

Recentemente avete partecipato al Salone del libro…

Un’altra nostra scommessa è di riuscire a parlare di progettazione sociale a tutti e non solo agli addetti ai lavori, far capire che progettazione sociale non vuol dire solo terzo settore, carità o beneficenza. Siamo stati al Salone con Primaradio, con la quale abbiamo realizzato il programma “Diogene, una lanterna per progettare il futuro”, co-condotto tra l’altro  anche da una ragazza che ha partecipato al corso base dell’anno scorso. In 16 puntate (il mercoledì dalle 12 alle 13 con replica il sabato dalle 17 alle 18) raccontiamo, con l’aiuto di esperti, la progettazione sociale, spieghiamo cos’è, quali sono i vari step.

L’Accademia ha anche un laboratorio “Mentoring”: di che si tratta?

E’ dedicato ai giovani progettisti con maggiore esperienza. Attraverso l’accompagnamento del mentor realizzano il progetto affidato, apprendendo tecniche e metodi di progettazione che accrescono la quantità di strumenti in loro possesso. Grazie a questi laboratori costruiamo, sotto la guida di un project manager aziendale, la “cassetta degli attrezzi” del giovane progettista.

E nel 2015, accanto al corso base e al laboratorio “Mentoring”, vorremmo avviare un percorso finalizzato a costruire un modello di sviluppo per il progettista.

“Social Renaissance”, conferenza internazionale a Torino

Un giorno di dibattito pubblico per parlare di innovazione sociale, una conferenza internazionale – organizzata da SocialFare,  Torino Social Innovation e Top IX – che si terrà il 26 giugno 2014 presso il Teatro Juvarra di Torino. “Social Renaissance” è il titolo dell’evento, cui prenderanno la parola “specialisti” del settore ma anche istituzioni, fondazioni e università locali, nazionali, europei e americani, a sottolineare come la social innovation si stia sviluppando e diffondendo attraverso una fitta rete di attori pubblici e privati su scala globale.

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La progressiva contrazione del welfare e l’affermazione delle tecnologie digitali hanno portato l’innovazione sociale – uno dei cinque temi chiave individuati nella Strategia Europa 2020 – ad assumere un ruolo centrale nell’elaborazione di politiche volte a un’economia sostenibile e inclusiva, capace di soddisfare bisogni sociali a cui né il mercato né le risorse pubbliche sono oggi in grado di rispondere efficacemente.

slide-01Ecco la definizione contenuta nella Guide to Social Innovation realizzata dalla Commissione Europea (febbraio 2013): “L’innovazione sociale può definirsi come lo sviluppo e l’implementazione di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che incontrano bisogni sociali, creano nuove relazioni social e collaborazioni. L’innovazione sociale porta nuove risposte ad impellenti bisogni che coinvolgono processi di interazione sociale. Le innovazioni sociali sono sociali solo se utilizzano strumenti e perseguono fini sociali. Le innovazioni sociali aggiungono valore alla società e aumentano la capacità di azione individuale e di comunità”.

slide-02“Social Renaissance”, dunque, per indicare un processo  finalizzato a diffondere la consapevolezza  della crescente disuguaglianza sociale cui ci si può opporre con nuovi modelli di welfare di forte impatto che integrino le nuove tecnologie con le discipline umanistiche, l’approccio imprenditoriale e l’impegno civile. Un processo che va ben definito, a partire da un nuovo concetto di “social”, individuando politiche e interventi che siano espressione di una rete di esperienze e conoscenze che travalichi i confini nazionali. Rete al centro della quale intendono collocarsi Torino e il Piemonte, tradizionali laboratori di sperimentazione sociale.

slide-03Di tutto questo si parlerà alla conferenza del 26 giugno, organizzata con il supporto del Comune di Torino, della Regione Piemonte, della Compagnia San Paolo, di Banca Prossima, di GMF (The German Marshall Fund of the United States) e dell’Ambasciata italiana del Canada, in cooperazione con l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la Camera di Commercio di Torino.

L’evento è aperto al pubblico su registrazione: il teatro Juvarra, in via Filippo Juvarra 15 a Torino, può contenere fino a 200 persone.

“UAO che colore!” al Teatro Juvarra, ospite di SocialFare

Sabato 24 maggio, presso il teatro Juvarra di Torino, SocialFare ospiterà la seconda edizione del workshop “UAO – che colore!” organizzato dall’associazione culturale non profit “Plug”, incubatore internazionale di creatività che dal 2010 mette a disposizione del talento più puro competenze e professionalità di alto livello. Talento e creatività che si esprimono – ed è questa la mission dell’associazione – intorno a tematiche sociali: i riflettori si accendono e colorano gli angoli più belli e nascosti dello spazio urbano, nell’ambito di una riflessione sulla sostenibilità ambientale nella sua più ampia accezione. Un progetto di comunicazione sociale con ricadute positive sul territorio, dove il bello e l’arte incontrano e nutrono le buone pratiche.

banner-registrazione-uaoCosì, sabato prossimo, 20 giovani partecipanti tra studenti e professionisti nei diversi settori della comunicazione visiva (design,  grafica, arte, fotografia…) useranno inchiostri e sperimenteranno combinazioni tra vecchie e nuove tecniche di stampa. Il laboratorio di quest’anno sarà centrato sul tema del cibo, dalla produzione al consumo. Una sfida lanciata per  scatenare la creatività e lasciarla correre alla ricerca di spazi urbani – orti, apicoltura da balcone, social cooking… – dove il cibo è riuscito a promuovere abitudini e comportamenti più salutari e sostenibili. E su questi spazi lavorare per farli emergere, risaltare. Un esempio: su immagini in bianco e nero si interviene con serigrafie per evidenziare col colore alcuni aspetti, come un alveare su un balcone.

Le competenze in gioco sono molteplici. Durante il workshop esperti della grafica internazionale guideranno e seguiranno i partecipanti in ogni fase del processo creativo, dalla progettazione alla realizzazione. “Lo scopo  del laboratorio è di far emergere col colore ciò che c’è di bello nella città, ciò che è capace di meravigliarci e farci dire ‘Uao!’ –  spiega Francesca Morea dello staff di Plug Creativity – Si intende offrire ai partecipanti la possibilità di confrontarsi con tecniche di stampa diverse e imparare a gestirle tutte, con l’aiuto dei tutor. Verranno realizzati dei poster che saranno esposti al ‘Festival architettura in città’ che si svolgerà a Torino dal 10 al 14 giugno al Basic Village”.

Uno dei poster che hanno partecipato alla terza edizione del concorso "Posterheroes" (Ben-Dolezal)

Uno dei poster che hanno partecipato alla terza edizione del concorso “Posterheroes” (Ben-Dolezal)

E a proposito di poster, fin dal suo primo anno di vita l’associazione Plug promuove il concorso “Posterheroes” per far  riflettere la comunità creativa sulla sostenibilità (ambientale, economica, sociale…). Giunto alla quarta edizione, il concorso invita i grafici di tutto il mondo a esprimere la propria opinione su specifiche tematiche e a proporre una soluzione  “raccontata” in un poster. Il tema di quest’anno è lo stesso scelto per “Uao che colore!”: il cibo. “Sono arrivati 1247 poster da 67 nazioni. Una giuria ne ha selezionati 40 – continua Francesca – I vincitori verranno proclamati domani 23 maggio presso il Teatro Vittoria a Torino nel corso di una conferenza che rappresenta per Plug un momento di bilancio, di riflessione sugli argomenti trattati e sulle attività proposte nell’anno”.

Ma le iniziative di Plug non finiscono qui. Ce n’è un’altra, molto concreta e “social”, che riguarda il quartiere Barriera di Milano del capoluogo piemontese. Il progetto di filiera corta di prossimità “Fa bene” è nato lo scorso anno come evoluzione di uno studio sulla tematica del consumo e dello spreco realizzato da Plug sul mercato di piazza Foroni e altri mercati rionali. Analisi da cui è emerso che ogni giorno molti prodotti alimentari invenduti – e non vendibili il giorno dopo – vengono buttati.fabene_25-05-13---02

“L’idea iniziale di raccogliere quei prodotti e distribuirli in modo sistemico nel quartiere ha preso forma e si è strutturata in un progetto ampio e ambizioso – spiega Francesca – Ogni giorno l’invenduto viene raccolto insieme a merci donate dai clienti e distribuito a famiglie e persone in difficoltà. Non è assistenzialismo, ma un dare e avere reciproco: i beneficiari ricambiano dedicando alcune ore di volontariato nel quartiere”.

“Fa bene” è realizzato da Plug e dalla cooperativa “LiberiTutti” con il patrocinio di “Urban Barriera” e in collaborazione con Torino Smart City, Comune di Torino, Circoscrizione VI e Servizi Sociali, Osservatorio Caritas Torino e le associazioni “GPL uniti per il quartiere”, “Nuovi equilibri” e “La piazza Foroni”. In un anno il progetto è riuscito a coinvolgere 60 commercianti e 15 volontari e a raccogliere 800 Kg di donazioni; 20 le famiglie raggiunte.