I vincitori dell’European Social Innovation Competition

Già al centro di un’intervista rilasciata a SocialFare un mese fa, il progetto italiano “Quid” è tra i 3 vincitori della seconda edizione dell’European Social Innovation Competition, dedicata al lavoro. Ieri la proclamazione a Bruxelles, con l’assegnazione ad ognuno di 30 mila euro.

Selezionate su 1254 provenienti da tutta Europa, le idee premiate – insieme con le altre 27 semifinaliste – fino alla fine del 2014 saranno sostenute nella loro realizzazione dalla Social Innovation Accademy, che le ospiterà a Londra il 23 e 24 giugno prossimi per un secondo momento formativo (il primo si è tenuto a Bilbao nel marzo scorso).

logoquid“Quid” è un nuovo marchio di moda nato a Verona. Il progetto è finalizzato al reinserimento di donne svantaggiate attraverso la trasformazione di tessuti di qualità made in Italy o capi di abbigliamento invenduti in nuovi prodotti unici e originali. Riproponiamo l’intervista  pubblicata su questo stesso blog.

Le altre 2 idee premiate sono “Urban Farm Lease” (Belgio)  e ”Voidstarter” (Irlanda): il primo mira a incoraggiare la diffusione dell’agricoltura urbana a Bruxelles, creando 6 mila posti di lavoro diretti più altri 1500 indiretti; il secondo permetterà a persone disoccupate di rimettere a nuovo le numerose abitazioni di social housing che oggi sono vuote a Dublino, trasformandole in luoghi di formazione e imprenditorialità.

foto di gruppo dei 10 finalisti

foto di gruppo dei 10 finalisti

Si chiude così la seconda edizione di una competition che ha registrato una partecipazione più che raddoppiata rispetto allo scorso anno, segnale di un crescente interesse verso l’innovazione sociale. Un interesse che vede l’Italia protagonista: oltre un quarto delle idee presentate provenivano dal nostro Paese, complice il particolarmente fosco quadro occupazionale e la conseguente ricerca di soluzioni alternative per creare lavoro. Di qui la necessità di convogliare risorse e creatività entro canali che conducano a progetti che siano realmente innovativi e di forte impatto sociale.

 

 

SocialFare si presenta in Europa

Cos’è SocialFare, quali sono i suoi obiettivi, cosa fa per promuovere la qualità di vita e il benessere dei cittadini, come coinvolge le comunità, qual è il suo contributo affinché il concetto di innovazione sociale si radichi in Italia e in Europa? Intorno a queste e altre domande  si snoda la lunga intervista che Laura Orestano ed Elena Bologna, rispettivamente direttore generale e community architect del centro torinese, hanno rilasciato a Social Innovation Europe (SIE). L’intervista, pubblicata il 15 maggio sul sito europeo, si colloca nell’ambito di un’indagine sulle prospettive dell’innovazione sociale in Europa.

01SocialFare, primo centro di innovazione sociale in Italia, ha contribuito al dibattito sottolineando innanzi tutto come la chiave per il superamento delle ingiustizie sociali e lo sviluppo della società civile sia rappresentata oggi da soluzioni che sappiano cogliere nuovi bisogni e creare imprenditoria sociale, sostenibilità e reti. Soluzioni che dal 2013 hanno un esclusivo incubatore e acceleratore negli spazi colorati e accoglienti collocati nel centro di Torino.

La condivisione delle conoscenze con altri attori nazionali e internazionali che perseguono gli stessi obiettivi è centrale per chi come SociaFare lavora per aiutare concretamente le persone, a partire dalle periferie sociali. Una rete di collaborazioni che attraversa l’Europa e si sviluppa sostenuta dalla crescente consapevolezza delle potenzialità dell’innovazione sociale.

Una consapevolezza che cresce anche in Italia, seppure non in modo uniforme e nonostante i termini “social” e “innovation” vengano a volte utilizzati per descrivere azioni che non sono realmente innovative. Di qui l’esigenza sempre più avvertita, sottolinea Laura Orestano, di definire meglio il concetto in rapporto alle implicazioni che esso comporta. Come anche di trovare modalità efficaci per diffondere la comprensione della social innovation, magari organizzando dei tour europei con tappe nelle diverse città per spiegare, anche con esempi concreti, che cos’è e quali sono le sue potenzialità.

Ancora, nell’esperienza di SocialFare l’individuazione degli stakeholders e il coinvolgimento della comunità sono al centro di metodologie che si basano su un lavoro di ricerca e osservazione dei contesti in cui si va ad agire, prima di sperimentare nuove soluzioni all’insegna della “scalabilità” e della “sostenibilità”: altre parole chiave dell’innovazione sociale. Perché un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile non può prescindere da un’estesa rete di attori disposti ad investire risorse allungando lo sguardo oltre i modelli prestabiliti.

“Sipari sociali”, il palcoscenico come metafora di vita

Venerdì 16 maggio alle 20 e sabato 17 alle 17 si alza il sipario su un’iniziativa tutta torinese dove arte ed educazione si incontrano nel solco scavato dalla lunga tradizione di accoglienza e di sperimentazione sociale che caratterizza il territorio piemontese. Un connubio efficace e innovativo che si è tradotto in un progetto realizzato dalla Congregazione dei Giuseppini del Murialdo – che attraverso le strutture e le attività di Comunità Murialdo Piemonte  esprime la sua mission di essere accanto ai minori e ai giovani, soprattutto quelli in difficoltà – in collaborazione con il Teatro Regio.

Così, 70 ragazzi si esibiranno sul palco del teatro Piccolo Regio di Torino a conclusione di un percorso già sperimentato lo scorso anno con successo. Successo che ha portato, in questa seconda edizione, a un maggior coinvolgimento di partner pubblici e privati e di enti finanziatori: si è dunque creata una rete a sostegno di un’azione la cui doppia valenza sociale e culturale rappresenta un’importante occasione di arricchimento del territorio.

ADESIVO QUADRATO PICCOLO_Sipari Sociali-01Il progetto “Sipari sociali” nasce nel 2012 dall’esperienza di alcuni laboratori teatrali rivolti a bambini e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni, con particolare attenzione a quelli con situazioni di fragilità sociale e familiare, nell’ambito dell’iniziativa del Teatro Regio “La scuola all’Opera”. A seguito di quest’esperienza, il desiderio dei ragazzi di essere protagonisti e di andare in scena con uno spettacolo vero e proprio ha spinto gli enti organizzatori a far evolvere l’iniziativa, allargando la partnership e ampliando il programma.

Ecco allora che nel 2013 va in scena “Aiutiamo Sam!”, spettacolo in un atto, eseguito con cori tratti da “Il piccolo spazzacamino” di Benjamin Britten. Le virtù dell’infanzia – senso dell’amicizia, coraggio, innocenza, amore per la vita – sono state al centro di un’interpretazione che ha coinvolto emotivamente i giovani attori. Un’esperienza di formazione e crescita personale, di partecipazione attiva a un progetto che sin da subito ha puntato sulla qualità della proposta. I ragazzi sono stati accompagnati, infatti, da oltre una decina di professionisti tra artisti, educatori e tecnici. Un team che per diversi mesi ha lavorato con i ragazzi all’insegna “dell’ascolto, della condivisione, della scoperta di nuovi canali espressivi e di un senso di appartenenza a una comunità che accoglie le diversità, le difficoltà del crescere e le unicità di ciascuno”. E’ questa la mission di “Sipari Sociali”.

La seconda edizione del progetto porterà in scena venerdì 16 e sabato 17 maggio prossimi “L’Elisir del Teatro”, liberamente tratto da “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti. Le vicende di un giovane timido e impacciato ma pieno d’amore accendono i riflettori sulle difficoltà della crescita e di inserimento sociale. Difficoltà che tutti gli adolescenti, e non solo quelli più “fragili”, incontrano. Di qui l’importanza e la scelta di coinvolgere ragazzi provenienti dai più diversi contesti, accomunati dal bisogno di trovare ognuno il proprio canale attraverso cui esprimere le emozioni.

prove-2014_2_mini1Tra le scuole coinvolte quest’anno, il liceo artistico Aldo Passoni, che ospita anche classi dell’indirizzo “Disegno di Moda e Costume”. “Per il laboratorio di scenografia, più tecnico, abbiamo sfruttato l’interesse e le competenze di questi ragazzi – spiega Maria Elena Aimo, coordinatrice della parte educativa del progetto per conto di Comunità Murialdo Piemonte – Per loro è anche un’occasione di arricchimento formativo”.

prove-2014_6_mini3-290x280Recitazione, espressione corporea, musica orchestrale e coro sono gli altri laboratori. In una prima fase del percorso i ragazzi possono sperimentarli tutti, per poi seguirne uno in particolare in base alle preferenze e alle attitudini. I lavori svolti dai diversi gruppi vengono infine messi insieme per allestire lo spettacolo finale.

Ma c’è un altro momento che chiude il percorso avviato: quello della rielaborazione dell’esperienza, insieme con gli educatori. “Vengono fuori tante emozioni e relazioni – continua Maria Elena Aimo – I ragazzi sono aiutati a dare un senso a questa esperienza. Ciò che hanno provato e imparato su quel palco farà parte del loro bagaglio di vita: sicurezza, capacità di presentarsi, di stare in relazione con sé e con gli altri, anche di fronte al pubblico. L’anno scorso è emersa la dimensione del gruppo, i ragazzi hanno dato molto valore al fatto di conoscere altre persone e la vita del teatro. Ogni gruppo ha fatto la sua parte, ma poi mettere tutto insieme è stato un momento entusiasmante: anche le parti più piccole e il lavoro dietro le quinte assumevano valore, ogni ruolo si rivelava indispensabile”.

Non sono mancate le difficoltà, prevalentemente legate al fatto che il progetto è impegnativo, soprattutto nell’ultima fase che richiede più tempo da dedicare alle prove. I ragazzi devono conciliare questa attività con la scuola e i loro impegni abituali. “La serietà, la qualità del percorso teatrale sono sottolineati dall’impostazione professionale  –  dice ancora la coordinatrice educativa – La regista, abituata a lavorare con grandi artisti, fa una richiesta importante ai ragazzi. L’intento è offrire un’opportunità agli adolescenti, a tutti, non solo a quelli più fragili. Anche per gli educatori è un’esperienza importante: devono lavorare su materiale vivo, aiutando a fare ordine, dare senso, armonizzare”.

aiutiamo SAM_03Gli obiettivi di “Sipari sociali” sono ambiziosi: creare partnership con altri teatri, creare un network italiano/europeo, rendere il progetto un modello replicabile… “Questo in futuro – conclude Maria Elena Aimo –  Per quest’anno vorremmo riuscire ad attivare almeno una borsa di studio nelle discipline sperimentate per premiare l’impegno dei ragazzi e permettere ad alcuni di loro di coltivare un sogno e generare un talento”.

Quid, la moda italiana che “trasforma” le donne

“Quid” è un nuovo marchio di moda nato a Verona. Ma è soprattutto un progetto di innovazione sociale finalizzato al reinserimento – attraverso un’attività produttiva che coniuga bellezza e creatività – di donne con un passato difficile. Donne vittime di abusi, violenze, malattie, traffico della prostituzione…, aiutate a trasformare la propria vita trasformando tessuti di qualità made in Italia o capi d’abbigliamento invenduti in nuovi prodotti originali e unici.

L’idea è nata nel 2012 da un gruppo di 5 amici e si è tradotta in una cooperativa sociale di tipo B oggi in rete con molteplici realtà e con notevoli prospettive di sviluppo. “Quid” ha partecipato alla seconda edizione del Premio europeo di innovazione sociale e ha conquistato un posto tra i 10 finalisti annunciati il 15 aprile scorso.

Intervistiamo Valeria Valotto, che si occupa della comunicazione nell’ambito di un progetto realizzato da una decina di volontari, ognuno con una specifica competenza. Un team in crescita che sostiene l’attività – retribuita – delle sarte ed è impegnato a esplorare nuove strade per allargare il raggio d’azione, offrendo così a un maggior numero di persone reali opportunità di emancipazione sociale.

Quando è cominciata l’avventura e quanti siete oggi?

logoquid“Progetto Quid” nasce a Verona nel 2012 come associazione di promozione sociale per iniziativa di 5 volontari. Nel marzo 2013 l’associazione diventa cooperativa sociale di tipo B e comincia a costruire una rete di collaboratori: chi si occupa di immagini, chi di comunicazione, chi disegna modelli, chi fa training alle nostre donne. Per adesso siamo tutti volontari, ma sul lungo periodo vorremo dedicarci a questa attività a tempo pieno e vivere di essa. Le sarte sono attualmente 9; abbiamo anche 3 commesse assunte a part time nei nostri punti vendita. In totale, 20 persone coinvolte.

Qual è il business?

Ricicliamo e trasformiamo avanzi di magazzino, stock invenduti di alta qualità di aziende made in Italia. Il primo stock ci è stato donato da una nota azienda di maglieria del veronese: grazie al lavoro delle sarte e di giovani designer, sono state prodotte circa cento magliette. La vendita è andata bene. Successivamente Quid ha inaugurato due temporary store a Forte dei Marmi e nel centro di Verona. La settimana scorsa ne ha aperto uno a Vicenza e prossimamente sarà la volta di Trento.

Quale idea c’è dietro “Quid”?

Anna Fiscale, fondatrice e presidente, ha maturato questa idea dopo anni di formazione universitaria in Italia e all’estero e diverse esperienze di cooperazione internazionale. In particolare, la sua tesi di laurea triennale in economia e commercio sul microcredito in India l’ha resa consapevole dell’importanza del ruolo delle donne per l’emancipazione sociale e per la costruzione di un capitale solido. Una consapevolezza che, unita alla sua passione per la moda, l’ha spinta a realizzare il progetto.

Le vostre sarte sono tutte donne con un passato molto difficile…

La legge italiana non le riconosce al 100% come soggetti deboli e protetti, sono pertanto più fragili di altre categorie di lavoratori. In particolare, è difficile a livello legislativo far riconoscere l’invalidità delle vittime della tratta e della violenza sessuale; ciò richiede percorsi più lunghi in cui queste persone rimangono disoccupate. Si tratta di donne soprattutto straniere. Negli anni passati Verona ne ha accolte molte, inviate dalla polizia, grazie alla presenza di ottime strutture che oggi, a causa dei tagli ai servizi sociali, non sono più in grado di far fronte alla crescente esigenza di aiuto e supporto.

Vorremmo anche occuparci delle carcerate: siamo in trattativa col Penitenziario di Verona.

Che cosa offrite dunque a queste donne?

un capo della collezione primavera/estate 2014

un capo della collezione primavera/estate 2014

Un impiego femminile di qualità. Una delle nostre collaboratrici sta facendo un dottorato sul riciclo creativo e intende dimostrare il valore di arricchimento, i benefici che le persone in difficoltà ne traggono. Donne con una femminilità molto aggressiva o che si sono sempre percepite come oggetto di desiderio altrui scoprono la propria bellezza, magari indossando una gonna da loro realizzata.

E’ interessante capire come far acquisire a queste persone una logica produttiva, farle lavorare in gruppo, rispettare gli orari…  Dopo le difficoltà iniziali, la risposta è stata positiva: adesso si portano anche il lavoro a casa, sono orgogliose, partecipano alle aperture dei negozi, alcune diventano caposquadra e insegnano alle altre.

La direzione in cui “Quid” vuole spingersi nei prossimi 4 anni porta all’obiettivo di diventare fornitore esclusivo di linee etiche per grandi marchi del made in Italy. Marchi a cui vorremmo proporre collezioni a capsula (collezioni limitate create da un marchio esterno all’interno di un marchio più ampio) realizzate con i loro scarti migliori, per poi rivendergli i capi prodotti da noi. Sarà molto importante, allora, imparare a rispettare logiche e tempistiche di queste grandi aziende.

Cosa avete prodotto fino ad oggi e qual è la rete che vi sostiene?

materiale-QUIDAbbiamo prodotto magliette, gonne, maglieria in generale, mantelline di lanetta, jeans corti, leggings. Abbiamo montagne di stoffe colorate, ma lavoriamo anche su capi invenduti, trasformandoli in capi super alla moda. Siamo molto radicati nel territorio, collaboriamo con designer emergenti, atelier, illustratori… Poiché siamo vicini al Lago di Garda, dei velisti che saranno selezionati per le prossime olimpiadi indossano capi Quid e ci sponsorizzano sulle vele. Abbiamo realizzato magliette per eventi locali quali maratone, raduni dell’associazione giovani agricoltori, manifestazioni culturali.

Vi aspettavate di entrare tra i finalisti della seconda edizione del Premio europeo di innovazione sociale?

Sinceramente no. Quando abbiamo incontrato a Bilbao tutti i semifinalisti eravamo molto impressionati dal livello alto delle proposte. Abbiamo dato il massimo nella stesura del bando, ci tenevamo molto.

Secondo voi, cosa è piaciuto soprattutto del vostro progetto?

A Bilbao un giudice ha apprezzato che facessimo qualcosa di concreto, con la realizzazione di prodotti che offrono alle nostre donne quella certezza di un impiego che a volte non è data dalle piattaforme online.

“Alla giornata”: il lavoro e la legalità crescono nei campi

Cerignola, provincia di Foggia: nelle campagne pugliesi nasce un’idea la cui realizzazione si propone di contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera, soprattutto straniera. Così due fratelli e alcuni amici informatici hanno unito le forze per dare corpo a un progetto timidamente presentato alla seconda edizione del Premio europeo di innovazione sociale. Erano convinti che la loro “pensata” non sarebbe stata nemmeno presa in considerazione, non avendo alle spalle né enti importanti, né università, né fondazioni ecc. E invece alla Commissione europea l’idea è piaciuta, tanto che l’ha inserita tra le 30 semifinaliste selezionate sulle oltre 1200 provenienti da tutta Europa.

logo“Alla giornata” – è il nome del progetto – non si è piazzato tra i 10 finalisti annunciati lo scorso 15 aprile, ma l’attenzione che ha ricevuto oltralpe ha comunque reso più salda la determinazione dei giovani amici a procedere. Intervistiamo Nico Campese, uno degli ideatori, laureato in marketing e con un forte interesse per la social innovation.

La vostra idea è nata per rispondere a quale problema?

Sono due i problemi reali che abbiamo riscontrato nelle nostre campagne: la difficoltà per gli imprenditori agricoli di mettere insieme in tempi rapidi squadre di lavoratori che prestino la loro opera nei periodi di raccolta e la tendenza a pagare in nero, soprattutto da parte dei piccoli coltivatori.

Il nostro progetto punta a mettere insieme in base alle esigenze squadre di persone regolarmente pagate, risparmiando ai datori di lavoro la fatica di reclutare, anche per un solo giorno di lavoro, la manodopera di cui hanno bisogno.

Chi recluterete?

Nel settore agricolo non si richiedono particolari competenze. Tutti possono lavorare: over 50, pensionati, studenti, persone svantaggiate…. Ai giovani, in particolare, il lavoro nei campi permette di apprendere tante cose, a partire dalla capacità di lavorare in gruppo, secondo  il concetto di “team working” che in campagna è sempre esistito. A Cerignola ci sono 4 scuole superiori: cominceremmo da lì, perché già adesso il lavoro stagionale viene in gran parte svolto da questi ragazzi. sfondo

Quali saranno le modalità di pagamento?

I voucher, introdotti in Italia alcuni anni fa, permettono di regolarizzare e regolamentare il lavoro occasionale. Si tratta di buoni del valore nominale di 10 euro: al lavoratore entrano in tasca 7,50 euro netti, che è il minimo che si richiede per un’ora di prestazione.

Adesso, invece, quanto viene pagata la manodopera reclutata occasionalmente?

E’ di pochi giorni fa la notizia di 54 rumeni pagati 1 euro all’ora, 10 euro a giornata. E’ un fenomeno diffuso, perché i prodotti agricoli vengono acquistati a prezzi molto bassi e i datori di lavoro vogliono spendere il meno possibile, preferendo gli stranieri. Qui ci sono soprattutto rumeni e bulgari, vivono in masserie abbandonate o nei centri storici, dove gli affitti sono bassi perché le case sono in rovina.

Incontrerete non poche resistenze…

 

Nico Campese a Bilbao il 5 marzo scorso

Nico Campese a Bilbao il 5 marzo scorso

Bisogna cambiare mentalità, qualcuno deve pur provare a invertire la rotta. Solo così potremo mettere in moto la legalità e abbassare la disoccupazione. La nostra proposta va in questa direzione, e se l’Unione europea crede nel nostro progetto significa che qualcosa di buono c’è. Vogliamo avviare questo  processo di cambiamento, con un piccolo passo dietro l’altro. All’inizio non riusciremo a convincere tante persone, ma “Alla giornata” è anche una filosofia di vita: gli obiettivi si raggiungono giorno dopo giorno, con umiltà e passione. Per arrivare a grandi risultati bisogna partire dal basso, fare le cose in progressione, sporcarsi le mani.

Il vostro progetto consiste dunque in una piattaforma web che punta a fare matching tra l’offerta degli imprenditori agricoli e la domanda di chi vuole lavorare. Come attirerete queste persone?

Per i lavoratori occasionali non ci sono problemi, inseriamo dati anagrafici, localizzazione e precedenti esperienze nel settore agricolo. Prevediamo difficoltà, invece, per quanto riguarda gli imprenditori: qui da noi sono pochi quelli che utilizzano Internet, a meno che non siano giovani. Eppure, superata questa difficoltà iniziale, grazie a questa piattaforma – di cui stiamo realizzando la versione alfa – i datori risparmierebbero non poco tempo.

Già, qual è allora la vostra strategia di avvicinamento? 

Contattiamo gli imprenditori direttamente, incontrandoli, ricercando anche la collaborazione delle organizzazioni del mondo agricolo. E li convinceremo ad usare la piattaforma grazie a una rete di agenti, facilitatori che verranno pagati in base al numero dei match conclusi, in cui i datori siano stati convinti al lavoro legale. Questi facilitatori saranno persone di fiducia con esperienza nella vendita e una buona conoscenza del mondo agricolo locale. Ad ognuno verrà affidata una zona.

Perché il vostro obiettivo è varcare i confini di Cerignola…

Non solo di Cerignola, ma della Puglia, dell’Italia, dell’Europa. Nel giro di 4 anni puntiamo ad uscire dai confini nazionali. Per adesso ci stiamo concentrando sulla piattaforma, che sarà operativa tra un paio di mesi. E poi dipende dai fondi: abbiamo stimato che avremo bisogno di almeno 150 mila euro, utilizzeremo fondi personali e, speriamo, fondi pubblici o privati. Potrebbero aiutarci i due enti regionali e l’azienda privata con cui attualmente siamo in rete.

“Fork in progress”, a Foggia la solidarietà tra generazioni si sperimenta in cucina

Dopo aver intervistato Monica Paolizzi ed Elena Bologna di SocialFare sull’idea “Jobs’R’Us”, tra i 30 semifinalisti dell’European Social Innovation Competition, proponiamo un viaggio tra gli altri otto progetti italiani che hanno passato la prima selezione. Esempi di come il nostro Paese si sta muovendo sul fronte dell’innovazione sociale per generare lavoro.

Cominciamo con “Fork in progress – cook & social business” (semifinalist 8), nato dallo spirito imprenditoriale di due giovani sorelle pugliesi, Luana e Tania Stramaglia.

Tania e Luana Stramaglia

Quando avete costituito la vostra impresa?

L’abbiamo costituita nel giugno 2013, dopo aver vinto il bando “Principi attivi” con cui la Regione Puglia da alcuni anni realizza un programma per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile. Con “Fork in progress” nel 2012 siamo stati tra i 173 progetti (su un totale di oltre mille presentati) che hanno vinto ciascuno un premio di 25 mila euro. E “Fork in progress” è il nome che successivamente abbiamo dato all’impresa.

Voi volete aprire a Foggia un ristorante particolare: da quale ispirazione nasce l’idea?

Nostro nonno lavorava in campagna ma poi, a causa di un incidente, ha perso una gamba e la sua vita è cambiata. Non si è abbattuto, anzi, ha cominciato a dedicare il suo tempo alla preparazione di piatti culinari utilizzando i prodotti della sua terra, coltivata dai nostri cugini. Da 4 anni è diventato il cuoco di casa: fa di tutto, dalla pasta fatta in casa al panettone.

All’età di 77 anni, il nonno ha saputo reinventarsi. E noi nipoti abbiamo cominciato a riflettere su come la cucina sia uno strumento per comunicare affetto. Qui al Sud, soprattutto, se vai a trovare un anziano ti offre sempre qualcosa e se la rifiuti si offende, perché è il suo modo per dirti: “ti voglio bene”. Ecco perché nel 2012 – Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale –  abbiamo avuto l’idea di aprire un ristorante nella cui cucina anziani e giovani lavorassero insieme.

Quali anziani, quali giovani?

Gli anziani autosufficienti accolti dalla Fondazione Barone di Foggia e i ragazzi del quarto anno del locale Istituto alberghiero: per questi ultimi l’esperienza sarà un tirocinio a tutti gli effetti, previsto dal loro percorso di studi. Assumeremo un cuoco che ogni sera verrà affiancato da una coppia composta da un giovane e da un anziano, per un totale di 6 coppie che si alterneranno. Ad aprile formeremo le squadre e, dal momento che “Fork in progress” è accreditata con la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Foggia, faremo partire alcuni laboratori propedeutici curati da una tirocinante. Questi laboratori, tra cui quello di narrazione autobiografica, avranno lo scopo di aiutare e incoraggiare i partecipanti a conoscersi e a “pensarsi” in modo diverso, progettando il proprio futuro.

Qual è il “piatto” forte di questo progetto?

Quando lo abbiamo scritto abbiamo pensato non soltanto agli anziani, ma anche ai giovani “neet” (not in education, employment or training, ndr). Per quanto appartengano a categorie diametralmente opposte, sia gli uni che gli altri sono a rischio di marginalizzazione perché l’attuale società produttiva tende ad escluderli, non tenendo conto del loro pensiero e della loro espressione.

Il nostro non è un progetto di assistenza: intendiamo coinvolgerli facendo impresa, per produrre valore economico e sociale.

In quale contesto ambientale e sociale aprirete il ristorante?

scorcio del centro di Foggia

scorcio del centro di Foggia

Apriremo nel centro di Foggia, che negli ultimi anni è stato abbandonato dagli esercizi commerciali. Non ci sono neanche più locali. Noi vogliamo contribuire a rivalutare questa parte così bella della città. Sappiamo che non sarà facile, ma vogliamo provarci.

Per quanto riguarda il contesto sociale, secondo dati Cgil la provincia di Foggia dal 2007 al 2012 ha visto scendere il tasso di occupazione dal 43,2 al 40,9. Il Foggiano si distingue in negativo anche per il più basso tasso di occupazione giovanile (15-29 anni) che si attesta sul 19,8%, oltre 6 punti sotto la media regionale. I “neet” sono oltre 46 mila. Nelle classifiche annuali del Sole 24Ore sulla qualità della vita in Italia, noi risultiamo sempre agli ultimi posti.

A quando l’inaugurazione?

Sicuramente a settembre, forse già a maggio. I locali sono quasi pronti. Fortunatamente qui i prezzi degli affitti e delle materie prime sono bassi.

La vostra è un’impresa a finalità sociale. Come intendete investire parte degli utili?

Intendiamo realizzare altri progetti di innovazione sociale, coinvolgendo la cittadinanza: il cliente che verrà al ristorante non solo saprà che parte di quanto spende servirà a finanziare altri progetti, ma esso stesso avrà un ruolo decisionale nella scelta delle azioni.

Cosa avete in mente?

La prima idea che ci è venuta è di realizzare un servizio di catering multietnico parallelo alla ristorazione. Foggia è terra di braccianti migranti: vivono in campagna in posti chiamati ghetti. Noi vogliamo portarli in città.

Quali sono le partnership di “Fork in progress”?

Quando abbiamo presentato il progetto alla Regione avevamo due partnership: Fondazione Barone e Istituto Alberghiero. Dopo, pian piano, abbiamo lavorato molto sul territorio e oggi fanno parte della nostra rete anche le Facoltà di Agraria e di Scienze della Formazione dell’Università di Foggia. Contiamo anche sulla collaborazione di un cuoco stellato che collabora con Eataly di Bari e ci darà consigli sulla ristorazione. Ovviamente non è lo stesso cuoco che assumeremo, non potremmo permettercelo.

Prossimo passo?

Faremo un video promozionale per comunicare il progetto: lo metteremo sui social network, anche per attirare nuovi partner e sponsor.

SocialFare® a Bilbao con “Jobs’R’Us”

Tre giorni molto intensi di lavoro, un primo passo per traghettare l’idea “Jobs’R’Us” verso la sua realizzazione concreta. Dal 3 al 5 marzo SocialFare®, tra i 30 semifinalisti  dell’European Social Innovation Competition, è stata a Bilbao per ricevere dagli esperti della Social Innovation Academy indicazioni preziose per sviluppare un project concept che ha dimostrato di avere ottime possibilità di successo.

Prossima tappa del concorso, giunto alla seconda edizione, è l’annuncio ad aprile dei 10 finalisti, dopo che i giudici avranno scelto quelle che ritengono le migliori soluzioni di innovazione sociale per ridurre la disoccupazione. Ricordiamo che è possibile sostenere i diversi progetti (“Jobs’R’Us” è il semifinalist n. 11) votandoli e condividendoli online sull’apposita piattaforma europea.

L’idea innovativa di SocialFare® – premiata con altre 6 realtà italiane su un totale di 1254 partecipanti provenienti dai 28 Stati UE (quasi un terzo dal Bel Paese) – è quella di creare reali opportunità di lavoro a Torino utilizzando gli strumenti e le modalità del crowd-funding e del crowd-sourcing, rendendo i cittadini  partner attivi e protagonisti di sviluppo locale con la condivisione di azioni e obiettivi.

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Appena tornate da Bilbao, le giovani Elena Bologna e Monica Paolizzi, rispettivamente community architect e systemic designer a SocialFare®, ci raccontano come sono andati questi 3 giorni, come si intende sviluppare “Jobs’R’Us”e quali consigli preziosi hanno tratto dai loro mentori.

Allora, come sono stati questi 3 giorni?

Molto concentrati. Eravamo 60 partecipanti più 4 giudici, 15 mentori e lo staff organizzativo. Ogni mentore seguiva da vicino 2-3 gruppi. E’ stata un’ottima occasione per confrontare la nostra idea con altre 29 provenienti da tutt’Europa. Ci siamo resi conto che stiamo portando avanti progetti che rispondono a bisogni analoghi, anche se in zone diverse. Un’occasione anche di condivisione: se l’obiettivo perseguito è il bene comune, la condivisione aiuta a migliorare e a progettare nuove soluzioni, integrando le conoscenze per non disperderle.

A Bilbao si è insistito molto su motivazione e determinazione, che sono le caratteristiche di coloro che vogliono veramente cambiare le cose.

Com’è nata l’idea“Jobs’R’Us”?

Esistono già piattaforme simili che permettono ai cittadini di segnalare i bisogni o le cose che non funzionano nel loro territorio. Noi intendiamo fare un passo avanti, e cioè creare una piattaforma che non dia soltanto la possibilità ai cittadini di denunciare i disservizi, ma anche di proporre nuove soluzioni che generino localmente lavoro. Nel capoluogo piemontese non c’è ancora nulla del genere.

Dopo aver ascoltato il nostro pitch – 90 secondi per riassumere la nostra idea e renderla convincente – i giudici hanno ritenuto il concept interessante per la chiarezza della modalità con cui si intende generare lavoro e per il coinvolgimento dei cittadini.

90 secondi per incuriosire i giudici… Come ci siete riuscite?

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación"

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación)

Parte di questi 3 giorni è stata proprio dedicata alla realizzazione dei pitch. Ci sono state date indicazioni pratiche che si sono rivelate utilissime, dal linguaggio verbale e del corpo alla struttura del discorso in base all’obiettivo da raggiungere. E’ ritenuta molto importante la capacità di comunicare le idee. Li chiamano anche elevator pitch, a sottolineare come la bontà di un progetto debba essere comunicata in modo convincente nei pochi secondi che l’ascensore impiega per salire o scendere. Un’ardua impresa.

Com’erano i pitch degli altri 29 progetti semifinalisti?

Tutti diversi l’uno dall’altro, anche perché lungo il percorso di sviluppo le varie idee portate a Bilbao si collocano non allo stesso punto. Alcuni progetti, ad esempio, sono già sperimentati da anni e il loro principale obiettivo è di ottenere finanziamenti per allargare il raggio d’azione in altri contesti. La nostra idea, invece, è nella fase di finalizzazione della piattaforma e della ricerca della geografia più adatta alla sperimentazione.

Quali sono i punti forti di questa idea?

Una piattaforma online darà ai cittadini di un quartiere torinese (già individuato) la possibilità di segnalare disservizi o bisogni e proporre soluzioni che poi vengono votate e finanziate dagli stessi cittadini e anche da altri stakeholder del territorio attraverso il crowd-funding.

In che modo “Jobs’R’Us” sarà capace di generare lavoro?

I servizi individuati come necessari verranno affidati a disoccupati o sottoccupati del quartiere  – giovani e non – attraverso un’impresa sociale (la stessa che gestirà la piattaforma) che assegnerà il lavoro in base alle competenze; se occorressero nuove competenze, l’impresa si occuperà anche della formazione.

Come vengono individuati i disoccupati?

Alcuni si rivolgono direttamente all’impresa sociale, altri vengono segnalati dalle diverse realtà del quartiere. Il primo obiettivo del progetto sarà di creare una rete tra le molteplici strutture pubbliche e private, per far incontrare la domanda e l’offerta utilizzando risorse che già esistono nel territorio. E’ uno sforzo collettivo per creare lavoro.

Voi avete pensato a un quartiere in particolare, che per adesso non citiamo. Perché proprio quello?

Perché è un quartiere popolare con dinamiche di comunità molto forti. Lì è più facile agire perché c’è senso di appartenenza.

Crediamo che la forza della nostra soluzione risieda proprio nella presenza fisica di un’impresa sociale che faccia leva sul senso di appartenenza, di comunità, di fiducia esistente nel territorio e in una location fisica accessibile e aperta a tutti. Il coinvolgimento degli attori prossimi e estesi prosegue e si mantiene anche tramite le azioni sulla piattaforma online.

Il progetto è secondo voi esportabile in altri contesti?

Sì, e questo era un requisito richiesto dal Premio europeo. Il nostro progetto è adattabile e replicabile in altri contesti, italiani ed europei; si verrebbe così a creare un modello. Esso è inoltre scalabile, nel senso che nel tempo potrà crescere e allargare il proprio raggio d’azione, coinvolgendo un maggior numero di realtà e aumentando le possibilità di cambiamento sociale.

Dopo Bilbao, qual è la prossima tappa?

Abbiamo tempo fino al 21 marzo 2014 per scrivere il progetto nel dettaglio seguendo una traccia che ci è stata data, cui dovremo allegare business plan e tempistiche.

Già, quali sono le tempistiche per la realizzazione del progetto?

Prima dobbiamo creare una rete, mettere radici nel quartiere e sviluppare una versione Beta della piattaforma, cioè il prototipo. Entro la fine del 2014 speriamo di raggiungere questi due obiettivi.

SocialFare tra i 30 semifinalisti del Premio europeo per l’innovazione sociale

Anche quest’anno SocialFare è riuscita a piazzarsi tra i 30 semifinalisti dell’European Social Innovation Competition, il Premio europeo per l’innovazione sociale che punta a far emergere idee innovative capaci di far fronte alle sfide di oggi, lavoro in testa.

Quale contributo alla riduzione della disoccupazione, SocialFare ha ideato “Jobs’R’Us” ed è semi-finalist 11: un grande successo, considerato che la seconda edizione del premio conta 1254 partecipanti, oltre il doppio rispetto allo scorso anno.

immagine-Jobs'R'us_BLOG[2]L’idea di SocialFare parte dal presupposto che ognuno di noi può creare opportunità di lavoro per altre persone sulla base di bisogni precisi individuati sul territorio in cui si va ad agire. Utilizzando gli strumenti e le modalità del crowd-funding e del crowd-sourcing, secondo un modello che affida progettazione e realizzazione di un progetto alla “folla” attraverso il web, Jobs’R’Us punta così a creare reali opportunità di lavoro a Torino: i cittadini sono invitati a investire sul loro territorio liberando risorse umane ed economiche con le quali sarà possibile offrire lavoro a inoccupati o sotto-occupati.

Una rete di vicinato a sostegno dell’occupazione, in cui ognuno può diventare partner attivo e protagonista di sviluppo locale, condividendo azioni e obiettivi. Sono gli stessi residenti, infatti, a individuare i bisogni locali, a caricarli su un’apposita piattaforma, a scegliere le priorità, a indirizzare finanziamenti propri e di altri in modo da assegnare specifici lavori a persone che ne hanno bisogno. Il tutto avviene tramite una cooperativa o un’impresa sociale che gestisce la piattaforma stessa e che quindi assegna il lavoro a persone non occupate residenti nell’area stessa nella quale il lavoro viene svolto.

Il Premio europeo riconosce all’innovazione sociale un ruolo fondamentale per affrontare un fenomeno, quello della disoccupazione, che registra numeri impressionanti: 25 milioni di europei oggi sono senza lavoro, con effetti devastanti sull’economia e sulla società. I giovani, le donne, i disabili e gli over 50 sono i più colpiti dalla crisi.

Ecco perché la European Social Innovation Competition non si limita ad assegnare una somma in denaro ai primi tre classificati (30 mila euro ciascuno), ma offre anche la possibilità di sviluppare le idee vincenti, di realizzarle, di rendere le soluzioni accessibili a più persone. Più di un riconoscimento, dunque, ma un vero e proprio accompagnamento. I 30 semifinalisti saranno ammessi infatti alla Social Innovation Academy in programma a Bilbao dal 3 al 5 marzo 2014, e verranno accompagnati nel loro percorso di sviluppo fino alla premiazione (prevista a maggio 2014) delle tre idee vincitrici, che continueranno ad essere sostenute fino alla fine dell’anno.

L’idea di SocialFare non è l’unica ad essere stata premiata tra quelle italiane. Ve ne sono altre 6, in prevalenza rivolte ai lavoratori svantaggiati e tutte incentrate sulla creazione di reti territoriali che pongono al centro le relazioni tra i cittadini e il loro coinvolgimento attivo.

E’ possibile sostenere i diversi progetti accedendo alla piattaforma e votandoli/condividendoli online http://socialinnovationcompetition.eu/

Torino Social Innovation per le imprese giovani

Presentato ufficialmente nel dicembre scorso, Torino Social Innovation  è l’insieme di strategie e strumenti che il Comune di Torino mette a disposizione dei giovani per sostenere la nascita di imprese sociali trasformando idee innovative in servizi e prodotti.

facilito1Da gennaio 2014 a dicembre 2015 è attivo un programma – FaciliTo Giovani e Innovazione Sociale – che offre supporto informativo, accompagnamento alla costituzione e sviluppo dell’impresa, sostegno finanziario e un set di servizi supplementari offerti dai partner pubblici e privati che rappresentano l’ecosistema dell’innovazione sociale a Torino. La capacità di stare sul mercato e di rispondere alle sfide sociali emergenti richiedono competenze che il nuovo sportello è in grado di supportare.

Il  percorso di accompagnamento è rivolto a giovani di  età compresa tra 18 e 40 anni, aspiranti imprenditori, lavoratori autonomi, imprenditori individuali; possono accedervi anche imprese già attive, composte prevalentemente da giovani, interessate ad aprire o potenziare una sede operativa a Torino. Per accedere al programma, l’impresa dovrà svolgere in modo continuativo la propria attività, almeno per tre anni dalla data in cui si è concluso il progetto di investimento (vedi avviso pubblico per l’accesso al progetto).

Il programma mette in gioco 2 milioni di euro, di cui 650mila euro di sostegni diretti alle imprese, 200mila euro in servizi di accompagnamento e un milione di euro in fondo di garanzia.

Lo sportello è aperto su appuntamento: dall’8 gennaio è attivo il numero verde 800.300.194 (dal lunedì al giovedì 8.30-16.00, venerdì 8.30-12.30); e-mail: torinosocialinnovation[at]comune.torino.it