SocialFare® a Bilbao con “Jobs’R’Us”

Tre giorni molto intensi di lavoro, un primo passo per traghettare l’idea “Jobs’R’Us” verso la sua realizzazione concreta. Dal 3 al 5 marzo SocialFare®, tra i 30 semifinalisti  dell’European Social Innovation Competition, è stata a Bilbao per ricevere dagli esperti della Social Innovation Academy indicazioni preziose per sviluppare un project concept che ha dimostrato di avere ottime possibilità di successo.

Prossima tappa del concorso, giunto alla seconda edizione, è l’annuncio ad aprile dei 10 finalisti, dopo che i giudici avranno scelto quelle che ritengono le migliori soluzioni di innovazione sociale per ridurre la disoccupazione. Ricordiamo che è possibile sostenere i diversi progetti (“Jobs’R’Us” è il semifinalist n. 11) votandoli e condividendoli online sull’apposita piattaforma europea.

L’idea innovativa di SocialFare® – premiata con altre 6 realtà italiane su un totale di 1254 partecipanti provenienti dai 28 Stati UE (quasi un terzo dal Bel Paese) – è quella di creare reali opportunità di lavoro a Torino utilizzando gli strumenti e le modalità del crowd-funding e del crowd-sourcing, rendendo i cittadini  partner attivi e protagonisti di sviluppo locale con la condivisione di azioni e obiettivi.

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Monica Paolizzi ed Elena Bologna con la loro mentore Connie Boulandier

Appena tornate da Bilbao, le giovani Elena Bologna e Monica Paolizzi, rispettivamente community architect e systemic designer a SocialFare®, ci raccontano come sono andati questi 3 giorni, come si intende sviluppare “Jobs’R’Us”e quali consigli preziosi hanno tratto dai loro mentori.

Allora, come sono stati questi 3 giorni?

Molto concentrati. Eravamo 60 partecipanti più 4 giudici, 15 mentori e lo staff organizzativo. Ogni mentore seguiva da vicino 2-3 gruppi. E’ stata un’ottima occasione per confrontare la nostra idea con altre 29 provenienti da tutt’Europa. Ci siamo resi conto che stiamo portando avanti progetti che rispondono a bisogni analoghi, anche se in zone diverse. Un’occasione anche di condivisione: se l’obiettivo perseguito è il bene comune, la condivisione aiuta a migliorare e a progettare nuove soluzioni, integrando le conoscenze per non disperderle.

A Bilbao si è insistito molto su motivazione e determinazione, che sono le caratteristiche di coloro che vogliono veramente cambiare le cose.

Com’è nata l’idea“Jobs’R’Us”?

Esistono già piattaforme simili che permettono ai cittadini di segnalare i bisogni o le cose che non funzionano nel loro territorio. Noi intendiamo fare un passo avanti, e cioè creare una piattaforma che non dia soltanto la possibilità ai cittadini di denunciare i disservizi, ma anche di proporre nuove soluzioni che generino localmente lavoro. Nel capoluogo piemontese non c’è ancora nulla del genere.

Dopo aver ascoltato il nostro pitch – 90 secondi per riassumere la nostra idea e renderla convincente – i giudici hanno ritenuto il concept interessante per la chiarezza della modalità con cui si intende generare lavoro e per il coinvolgimento dei cittadini.

90 secondi per incuriosire i giudici… Come ci siete riuscite?

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación"

sessione laboratorio con i mentori (fonte: Innobasque Agencia Vasca de la Innovación)

Parte di questi 3 giorni è stata proprio dedicata alla realizzazione dei pitch. Ci sono state date indicazioni pratiche che si sono rivelate utilissime, dal linguaggio verbale e del corpo alla struttura del discorso in base all’obiettivo da raggiungere. E’ ritenuta molto importante la capacità di comunicare le idee. Li chiamano anche elevator pitch, a sottolineare come la bontà di un progetto debba essere comunicata in modo convincente nei pochi secondi che l’ascensore impiega per salire o scendere. Un’ardua impresa.

Com’erano i pitch degli altri 29 progetti semifinalisti?

Tutti diversi l’uno dall’altro, anche perché lungo il percorso di sviluppo le varie idee portate a Bilbao si collocano non allo stesso punto. Alcuni progetti, ad esempio, sono già sperimentati da anni e il loro principale obiettivo è di ottenere finanziamenti per allargare il raggio d’azione in altri contesti. La nostra idea, invece, è nella fase di finalizzazione della piattaforma e della ricerca della geografia più adatta alla sperimentazione.

Quali sono i punti forti di questa idea?

Una piattaforma online darà ai cittadini di un quartiere torinese (già individuato) la possibilità di segnalare disservizi o bisogni e proporre soluzioni che poi vengono votate e finanziate dagli stessi cittadini e anche da altri stakeholder del territorio attraverso il crowd-funding.

In che modo “Jobs’R’Us” sarà capace di generare lavoro?

I servizi individuati come necessari verranno affidati a disoccupati o sottoccupati del quartiere  – giovani e non – attraverso un’impresa sociale (la stessa che gestirà la piattaforma) che assegnerà il lavoro in base alle competenze; se occorressero nuove competenze, l’impresa si occuperà anche della formazione.

Come vengono individuati i disoccupati?

Alcuni si rivolgono direttamente all’impresa sociale, altri vengono segnalati dalle diverse realtà del quartiere. Il primo obiettivo del progetto sarà di creare una rete tra le molteplici strutture pubbliche e private, per far incontrare la domanda e l’offerta utilizzando risorse che già esistono nel territorio. E’ uno sforzo collettivo per creare lavoro.

Voi avete pensato a un quartiere in particolare, che per adesso non citiamo. Perché proprio quello?

Perché è un quartiere popolare con dinamiche di comunità molto forti. Lì è più facile agire perché c’è senso di appartenenza.

Crediamo che la forza della nostra soluzione risieda proprio nella presenza fisica di un’impresa sociale che faccia leva sul senso di appartenenza, di comunità, di fiducia esistente nel territorio e in una location fisica accessibile e aperta a tutti. Il coinvolgimento degli attori prossimi e estesi prosegue e si mantiene anche tramite le azioni sulla piattaforma online.

Il progetto è secondo voi esportabile in altri contesti?

Sì, e questo era un requisito richiesto dal Premio europeo. Il nostro progetto è adattabile e replicabile in altri contesti, italiani ed europei; si verrebbe così a creare un modello. Esso è inoltre scalabile, nel senso che nel tempo potrà crescere e allargare il proprio raggio d’azione, coinvolgendo un maggior numero di realtà e aumentando le possibilità di cambiamento sociale.

Dopo Bilbao, qual è la prossima tappa?

Abbiamo tempo fino al 21 marzo 2014 per scrivere il progetto nel dettaglio seguendo una traccia che ci è stata data, cui dovremo allegare business plan e tempistiche.

Già, quali sono le tempistiche per la realizzazione del progetto?

Prima dobbiamo creare una rete, mettere radici nel quartiere e sviluppare una versione Beta della piattaforma, cioè il prototipo. Entro la fine del 2014 speriamo di raggiungere questi due obiettivi.