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Intervista a Franco Becchis, direttore scientifico di Turin School of Local Regulation

09 Settembre 2016 – Franco Becchis è direttore scientifico della Turin School of Local Regulation e Fondazione per l’Ambiente, ma anche economista di strada e autore del Bestiario di Finanza. Iniziamo allora questa intervista con una considerazione. La società è giunta alla «quarta rivoluzione industriale», come l’ha definita Klaus Schwab all’ultimo World Economic Forum (Wef) a Davos. Una nuova rivoluzione i cui protagonisti, ha spiegato il fondatore del Wef nel libro omonimo, sono aziende che hanno sovvertito la tradizionale catena dalla produzione al consumo di beni. Sono piattaforme che connettono la domanda e l’offerta di beni e servizi in modi mai visti prima della diffusione di Internet. I campioni di questa rivoluzione sono bestie strane, come le ha descritte su TechCrunch Tom Goodwin (senior vice president per la Strategia e Innovazione di Havas media): Uber, la più grande società al mondo di taxi, non possiede automobili; Facebook, il social media più popolare al mondo non crea alcun contenuto; Airbnb, il più grande fornitore al mondo di ospitalità, non possiede alcun immobile. E Amazon, il più grande commerciante al mondo, non ha una catena di negozi. Eppure il loro valore in Borsa — o quello stimato dai privati investitori, nel caso delle società non ancora quotate — è superiore a quello dei concorrenti del mondo non virtuale, quello dei brick mortar, «mattoni e cemento».

 Il sistema delle piattaforme manifesta la sua natura disruptive, e fatica a dialogare con l’esistente: Airbnb è sotto accusa perché non ha gli standard degli hotel, gli ospiti non pagano la tassa di soggiorno e i proprietari hanno tariffe dell’acqua, dei rifiuti e dell’energia di tipo domestico e non commerciale. Gnammo, che fa incontrare domanda e offerta di pranzi e cene, non passa inosservata alla grande famiglia dei ristoratori e recenti provvedimenti amministrativi a Torino segnalano un conflitto che non può che crescere. Non è ben chiaro il perché, ma sembra che la reputazione sociale che si forma con il giudizio dei clienti, quella che determina il successo e la sconfitta di molte imprese, non valga nulla senza un timbro della Asl. Amazon Flex, che permette a tutti di diventare fattorini per un giorno consegnando pacchi in un’ora, farà infuriare i corrieri e rinascere le polemiche sul lavoro on-demand. Intanto, gli sfidanti delle vecchie banche hanno già vinto la partita: miliardi di euro transitano nei siti di peer to peer finance. Non è un buon segnale per i gestori di bus, ferrovie, taxi, hotel e ristoranti, ma potrebbe esserlo per i consumatori.

La quarta rivoluzione industriale comporta quindi la combinazione di nuove tecnologie, sharing economy, protezione del consumatore e regolazione. Tre elementi la cui triangolazione traccia relazioni complesse, capaci di orientare (e condizionare) il futuro di consumatori, decisori politici e  lavoratori.

Franco Becchis: Vorrei iniziare facendo subito un distinguo, per meglio definire i confini della reale estensione coperta dalla definizione sharing economy, o economia della condivisione. La più (ab)usata fra le parole che piacciono ai media. Sharing vuol dire condividere e richiama una community, la fiducia e la gratuità. Blablacar, Uber, Taskrabbit, Airbnb, Gnammo e altre piattaforme non condividono un bel niente: un guidatore che carica un autostoppista, una famiglia che ospita gratuitamente dei migranti sono esempi di sharing, condivisione. Uber e i suoi fratelli, invece, semplicemente permettono ai proprietari di dormant asset di incontrare la domanda pagante di sconosciuti. È, quindi, un’economia degli asset dormienti che si risvegliano grazie alla capacità offerte dalle nuove tecnologie di comunicazione peer-to-peer di fare incontrare l’offerta con una domanda che restava latente. Le piattaforme internet hanno reso osservabile, e quindi contrattabile, ciò che prima era nascosto: passaggi auto da condividere, camere da affittare, abilità culinarie, disponibilità a fare le pulizie o altri lavoretti. Questo tuttavia non sempre è sharing, o collaborative.

IL POTERE DELLE PIATTAFORME

C’è da dire che vale quasi l’1 per cento del Pil, quindi non credo sia un fenomeno passeggero: considera che la tecnologia permette un enorme effetto leva, trasformando piccole reti informali di persone in gigantesche reti sociali in simultanea possibilità di comunicare e scambiare. Chi presidia le piattaforme da cui passano gli scambi ha un forte potere di mercato e costituisce una minaccia per chi produce e vende attraverso i canali tradizionali della comunicazione vis à vis o telefonica. Questo solleva un’interessante tema rispetto alle informazioni di cui le piattaforme sono detentrici: Amazon è chi conosce meglio il Franco Becchis lettore di saggi. Conosce non solo quali testi ho scelto ma anche dove ho sottolineato, dove mi sono soffermato nella lettura. Al momento non mi sembra ne faccia buon uso, guardando alle proposte di lettura che mi offre. Sicuramente per la regolazione questo diventerà un tema importante, e noi ce ne stiamo già occupando.

TECNOLOGIA E COSTI DI TRANSAZIONE

Il processo evolutivo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione che con l’introduzione degli smartphone ha avuto un sensazionale salto in avanti ha consentito l’affermarsi di innovazioni cosiddette “disruptive”  che consentono di diminuire notevolmente i costi di transazione – che fanno da barriera fra scambi possibili e scambi effettivi. Quarant’anni fa Ronald Coase aveva già identificato i costi di transazione come principale ostacolo al raggiungimento di accordi tra controparti, quindi alla micro-economia il tema è presente da molti anni.  Si tratta delle difficoltà di transazione tra persone che possono essere dovute a distanza geografica, mancanza di fiducia, antipatia: questo si traduce in costi, costringendo elementi esterni a fare da mediatori. Invece la trasformazione dei mercati potenziali in mercati reali, operata dalle piattaforme, determinano la fine dello scenario business-as-usual e pongono problemi nuovi ai regolatori nazionali e locali. Gli attori di mercato, dal canto loro, si vedono costretti a innovare, e quelli che grazie alla regolazione hanno goduto per anni di un ambiente protetto sono a un punto di svolta critico. In questi casi, la qualità del servizio è molto importante e infatti viene valutata ex-ante, anche attraverso un sistema di recensioni.

REGOLARE LE DISRUPTIVE TECHNOLOGIES

In ogni caso è evidente come le capacità pervasive di mercato offerte dalle nuove tecnologie pongano in contrasto queste imprese non solo con gli incumbent ma anche con la regolazione, che a volte esiste ma è vecchia. A volte non è ancora stata formulata.  Il tema della regolazione, e le recenti polemiche relative alla mobilità, ci porta alla seconda parola tra quelle più abusate: servizio pubblico. Nella sua essenza, un servizio è pubblico quando il mercato non è in grado di fornirlo da solo in modo efficiente, equo e accessibile: in altre parole, abbiamo la sanità, le scuole, la depurazione delle acque, lo smaltimento dei rifiuti e altri servizi in mano diretta pubblica o regolati dal pubblico, perché non ci fidiamo dei mercati. Un servizio, quindi, non è pubblico perché giuridicamente è stato dichiarato tale o perché qualcuno ha ottenuto la licenza per fornirlo, con esclusiva o senza: è il contenuto che conta, non il contenitore. A forza di regolare oggetti e contenitori anziché bisogni e contenuti, la pubblica amministrazione ha creato una serie di fortini dove persone e organizzazioni difendono esclusive e diritti. Ma il cambiamento della tecnologia e la forza dei bisogni è più forte dei regolamenti.

LA SFIDA INTERNAZIONE DELLA REGOLAZIONE DEI SERVIZI: TURIN SCHOOL OF LOCAL REGULATION

Noi studiamo questo, alla Turin School of Local Regulation. Crediamo che la regolazione debba accompagnare il cambiamento. Un equilibrio non facile, perché la regolazione deve aiutare queste innovazioni, evitando la consumer exploitation e garantire al contempo la sicurezza di chi usa questi servizi. Turin School of Local Regulation è un network, senza muri, che connette quanti sono interessati alla formazione in questo ambito. Abbiamo iniziato con una scuola estiva in italiano, dedicata a chi si occupava di regolazione locale. Ma gli studenti italiani  diminuivano di anno in anno, e arrivati alla nona edizione ci siamo resi conto che era necessario aprirsi all’internazionalizzazione. La mossa si è rivelata vincente: abbiamo ottenuto moltissime candidature. Per darti l’ordine di grandezza dell’interesse che attualmente muove la summer school considera che quest’anno siamo alla diciannovesima edizione e abbiamo ricevuto 824 application da 98 paesi per 24 posti.

FONDAZIONE PER L’AMBIENTE, UN THINK TANK PER RIFLETTERE CON LIBERTA’

Quello che noi facciamo è un lavoro di nicchia: cercare di portare ai nostri studenti senior il meglio della ricerca che noi compiamo quotidianamente, proponendo loro casi studio, lezioni di ospiti internazionali e lavoro sul campo di simulazione nella creazione di un caso studio composto dall’analisi del quadro regolatorio, degli attori e dei loro incentivi, e degli investimenti. L’attività con la Summer School negli anni ci ha consentito di creare un network importante, grazie alla quale Fondazione per l’Ambiente (promotrice della scuola) ha potuto attivare numerose collaborazioni. Considera che Fondazione per l’Ambiente è una piccola think tank che si occupa di ambiente, energia e politiche locali. E ora sempre più di regulation: due aspetti che non sono in contraddizione, e anzi che tendono a completarsi. Volendo riassumere in una frase la nostra mission: noi ci occupiamo di riflettere con libertà sulle politiche e insegnarle con un approccio di policy e non accademico puro.

INNOVAZIONE SOCIALE E REGOLAZIONE

Noi siamo ospiti di Rinascimenti Sociali fin dall’inizio. Eravamo ospiti della Camera di Commercio di via Pomba. Per noi arrivare in questo luogo ha comportato una grossa rivoluzione: abbiamo dovuto rinunciare a dello spazio (allora disponevamo di quattro sale che dividevamo con delle associazioni che raramente erano presenti), in favore dell’apertura a ricchissimi stimoli esterni. In particolar modo con SocialFare® si è innescato un processo osmotico di scambio. La tavola rotonda Sharing Economy and disruptive technologies ne è l’esempio, un’operazione unica che cerca di tracciare le relazioni tra sharing economy, disruptive technologies, regulation e protezione dei consumatori. Solitamente i momenti di confronto si limitano a uno di questi aspetti, analizzarli assieme è davvero rivoluzionario. E combina innovazione sociale con regolazione dei servizi.