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Scalabilità, la forza delle buone idee

Perché un’innovazione sociale sia capace di raggiungere l’obiettivo finale di ”cambiamento di sistema”, cioè di un nuovo rapporto tra politiche pubbliche, iniziative private e comunità di pratica, il percorso da compiere si snoda attraverso tappe fondamentali: dall’identificazione di bisogni sociali nascono proposte che si traducono in modelli di inclusione e sviluppo la cui sperimentazione sul territorio va implementata fino ad arrivare alla diffusione dell’idea.

Il trasferimento o riproposta su scala più ampia delle esperienze di innovazione sociale (scalabilità) è un passaggio particolarmente delicato che mette in campo risorse, competenze e relazioni la cui qualità può permettere a piccoli progetti fortemente radicati sul territorio, quindi nati in specifici contesti locali, di estendere il proprio impatto a nuove comunità.

immagine matrioska_scalabilitàLa scalabilità è pertanto un aspetto cruciale cui viene dedicata grande attenzione nella letteratura sulla social innovation. Nel rapporto 2012 “Defining Social Innovation” di TEPSIE (Theoretical, Empirical and Policy Foundations for Social Innovation in Europe) – progetto europeo che elabora la strategia UE per lo sviluppo dell’innovazione sociale – si sottolinea che “l’obiettivo delle realtà con missione sociale è quello di generare il più grande impatto possibile”.

Benché il rapporto evidenzi l’importanza dell’emulazione, cioè il potere di contagio, come strategia per lo sviluppo e diffusione di un’idea, è altrettanto importante puntare alla crescita “verticale” di un’organizzazione grazie al coinvolgimento e attivazione di altri soggetti e attività su più livelli.

Le “api” della social innovation

In un report del 2007 l’organizzazione britannica governativa Nesta, National Endowment for Science Technology and the Arts, affermava che per rendere scalabile l’innovazione sociale sono fondamentali le alleanze e le contaminazioni tra piccole organizzazioni, imprenditori, grandi imprese e istituzioni pubbliche. In “Social Innovation: what it is, why it matters, how it can be accelerated”, Goeff Mulgan (attualmente chief executive di Nesta) paragona i piccoli imprenditori e le start up alle “api” che – mobili, dinamiche, veloci, portatrici di innovazione su piccola scala – ronzano intorno agli alberi dalle solide radici (le grandi istituzioni, con risorse e potere) inducendoli a condividere, introdurre e rendere così scalabili le loro iniziative.

Sul piano pratico, lo scorso anno è stato avviato il progetto europeo BENISI (Building a img 2_scalabilitàEuropean Network of Incubators for Social Innovation), un consorzio trans europeo nato un anno fa per identificare 300 startup innovative tra le più promettenti, ad alto impatto e in grado di generare occupazione nei settori pubblico, privato, terzo settore, impresa e cooperazione sociale. Scopo del progetto – che in Italia coinvolge Impact Hub Milano – è offrire supporto a queste realtà rafforzandole localmente e rendendole scalabili, sia all’interno del proprio Paese che a livello internazionale, creando percorsi di matching con potenziali finanziatori.

Domanda e offerta

Scambio (di know-how, di esperienze, di competenze, di persone), ampliamento delle reti e della governance ed emulazione sono dunque i presupposti per la diffusione a macchia d’olio di una idea e della sua applicazione. A patto che ci sia effettivamente una larga diffusione del bisogno sociale al quale si rivolge il progetto.

Il potenziale di crescita è legato alla capacità di un progetto di rappresentare un prototipo che sia appetibile a partner e sponsor per le possibilità di sviluppo su ampia scala. L’offerta effettiva, che richiede prove di efficacia, efficienza e convenienza economica dell’innovazione, e la domanda, cioè la disponibilità a pagare, sono strettamente correlate.

LibroBiancoE “per far crescere la domanda – rileva il Libro Bianco dell’innovazione sociale scritto da Geoff Mulgan insieme con Robin Murray e Julie Caulier Grice – ci può essere bisogno di una diffusione attraverso l’ascolto, suscitando consapevolezza, sostenendo una causa, e promuovendo il cambiamento. L’ascolto attivo è la chiave percreare domanda per i servizi, in particolare da parte delle pubbliche autorità”.

Il Libro Bianco, raccolta a livello internazionale di pratiche, strategie e strumenti che costituisce una vera e propria guida per progettare, sviluppare e far crescere l’innovazione sociale, sottolinea inoltre come la diffusione di un’idea dipenda spesso anche dalla sua semplicità e dall’eliminazione di ciò che non è essenziale, mentre le idee complesse richiedono più competenze e impiegano più tempo a diffondersi.

Community Catalyst

Concludiamo con un esempio concreto di scalabilità che per SocialFare® ben sintetizza il concetto perché parte dal “locale” per rispondere a un bisogno specifico e poi amplia il proprio raggio di azione riuscendo a operare cambiamenti sistemici a livello di policy.

Community Catalyst (Regno Unito) è  uno dei progetti premiati nel 2013 alla prima edizione dell’European Social Innovation Competition, dedicata alle idee che esplorano nuove strade per aumentare e migliorare l’occupazione in Europa. L’ambito d’impegno del progetto è l’organizzazione di servizi sociali e sanitari su piccola scala e alla portata di tutti, favorendo la creazione di micro imprese in cui si incontrano competenze presenti nelle aziende e nelle comunità di cittadini.Learning-lessons-graphic

Ecco allora che professionisti del settore e gente comune (compresi anziani, disabili e coloro che offrono assistenza familiare)  “confezionano”  insieme, creativamente, piccoli servizi di qualità da vendere sul territorio, garantendo a tutte le persone, ovunque si trovino, la possibilità di accedere a prestazioni di cura e assistenza.

Una rete di realtà imprenditoriali coordinata, gestita e sostenuta  attraverso una piattaforma telematica, con cui Community Catalysts  punta ad ampliare la portata e la qualità dei servizi offerti su piccola scala, avvalendosi di imprese e tutor professionali. In tal modo competenze e talenti di individui e comunità vengono valorizzati e investiti in servizi personalizzati di qualità che hanno il duplice scopo di creare nuovo lavoro e generare benessere.


Impatto sociale: perché è importante misurarlo

In un contesto di crisi sistemica che spinge alla ricerca di soluzioni coraggiose e approcci innovativi, gli “investimenti ad impatto sociale” sono al centro di un dibattito internazionale sempre più vivace.

Il bisogno di rendere più efficace ed efficiente la spesa pubblica e di attrarre risorse private per innescare processi di sviluppo è alla base di molteplici tavoli di lavoro, studi e azioni finalizzati a individuare procedimenti di misurazione dell’impatto sociale di un intervento. Misurazione che consenta di quantificare e qualificare il cambiamento positivo generato e “certifichi” la capacità di un progetto di essere sostenibile e replicabile e quindi di attirare capitali, creando anche valore economico.

Donazioni-150x100In Italia (dove più che altrove la misurazione dell’impatto sociale non ha ancora basi solide e condivise) di qui al 2020 potrebbero essere mobilitati circa 30 miliardi di euro per gli investimenti ad impatto sociale. E’ quanto emerge dal Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8 un anno fa per promuovere il mercato dell’investimento ad alto impatto sociale.

Verso una nuova economia

Il rapporto, intitolato “La Finanza che include: gli investimenti ad impatto sociale per una nuova economia”, è stato presentato un mese fa ed è frutto del lavoro di circa 100 esperti in rappresentanza di cooperative sociali e fondazioni bancarie, imprese sociali e investitori privati, non profit e intermediari finanziari, investitori istituzionali, istituti di credito, fondazioni filantropiche d’impresa e università, che insieme hanno individuato 40 proposte da rivolgere al Governo.

La “diffusione degli strumenti della misurazione dell’impatto sia tra le imprese sociali che tra gli erogatori di risorse pubbliche e private” è una delle proposte avanzate, in linea con il lavoro della Task Force (di cui l’Italia fa parte insieme con Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) che si è assunta anche il compito di sviluppare un approccio standardizzato in grado di misurate l’impatto sociale. La prossima riunione della Task Force – che un mese fa ha diffuso un rapporto internazionale risultato di un anno di lavoro – si svolgerà a Roma il 28 e 29 ottobre prossimi.

La necessità di disporre di metodi nuovi per misurare la sostenibilità e il benessere e

Jins

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riuscire così a far fronte alle sfide sociali è più che mai avvertita in un’Europa colpita dalla crisi. Ma l’acquisizione di preziose informazioni utili per valutare gli effetti dell’idea innovativa e aumentarne efficacia ed efficienza non è un lavoro semplice. Gli sforzi per dimostrare il collegamento tra l’attività realizzata e l’effetto, traducendo l’attività in cifre, possono comportare dei rischi e non ottenere risultati adeguati.

Cosa misurare?

Circa un anno fa il Comitato economico e sociale europeo elaborava un parere d’iniziativa illustrando la prospettiva delle imprese sociali nello sviluppo di un metodo di misurazione dell’impatto sociale. Parere che bacchettava ed esortava la Commissione europea a dedicare più tempo ad un esame approfondito dell’argomento in quanto “la misurazione dell’impatto sociale è una questione non solo importante, ma addirittura cruciale per ricostruire un‘Europa a dimensione sociale”. Di qui la necessità di promuovere una raccolta dati, di elaborare un quadro che riunisca i principi su “cosa misurare invece di cercare di definire come misurare l’impatto sociale”.

Ecco allora l’invito ad essere prudenti, considerato che “in numerosi Stati membri la conoscenza dell’imprenditoria e dell’economia sociali e il riconoscimento del loro apporto sono quasi inesistenti. Aprire il dibattito nella prospettiva dell’impatto sociale piuttosto che cercare di promuovere un ambiente propizio allo sviluppo di imprese sociali può quindi rivelarsi controproducente per la crescita del settore”.

Sensibilizzare sui principi più diffusi in questo campo invece di elaborare e raccomandare l’applicazione di un solo metodo specifico è dunque la direzione indicata dal Comitato economico e sociale europeo, che sottolinea: “Un tratto comune a queste iniziative risiede nel fatto che nascono ‘dal basso’ e vengono progettate per inquadrare i mutamenti sociali sulla base di necessità effettive e di attività concrete. Qualsiasi metodo di misurazione va elaborato a partire dai risultati principali ottenuti dall’impresa sociale, deve favorirne le attività, essere proporzionato e non deve ostacolare l’innovazione sociale. Il metodo dovrebbe prefiggersi di trovare un equilibrio tra dati qualitativi e quantitativi, nella consapevolezza che la ‘narrazione’ è centrale per misurare il successo… “.

Un esempio: SocialFare® partner di Slow Food

E’ infatti soprattutto con la narrazione –  raccolta di “storie” ricche di informazioni viste Proposta Grafica_SOSTENIBILITà SOCIALE_Parete Esterna.pdfdalla prospettiva dei beneficiari –  che è possibile valutare il “valore aggiunto” delle attività di un’impresa sociale. Ed è anche alla narrazione che ricorrerà SocialFare® nel lavoro di ricerca che la vede partner del Salone del Gusto e Terra Madre, di cui nelle prossime tre edizioni verrà indagata la sostenibilità sociale, la capacità di innescare e generare cambiamento sul territorio in un equilibrio tra relazioni, comportamenti e azioni.

Indicatori e metriche sono ancora in fase di test. Possiamo però anticipare che SocialFare® procederà per tappe, lungo un percorso che partirà da un’analisi (area d’indagine) dell’ecosistema del Salone, inteso come luogo antropologico di azioni e relazioni in cui il cibo è un attivatore di valore sociale.

Social Outcomes vs.Social Impact by USCREATES (UK)

Social Outcomes vs.Social Impact by USCREATES (UK)

L’indagine  delle attività, delle relazioni, delle sfide e degli obiettivi  porterà a definire gli effetti quantitativi dell’oggetto dell’analisi (output), cioè i dati misurabili, fino alla valutazione della ricaduta a breve, medio e lungo termine sul territorio (outcome): come il Salone è riuscito a modificare i comportamenti al di fuori della sede fisica in cui si svolge, quali effetti sociali ha prodotto. Così verrà dunque valutato l’impatto, che esprime in quale misura un effetto dipende dall’oggetto dell’analisi. Avremo modo di approfondire.

 

Così il Terzo Settore può aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi

Il manifesto “Fiducia e nuove risorse per la crescita del Terzo Settore” ha fatto tappa a Torino. L’incontro che si è svolto giovedì 19 giugno presso la Casa della Cooperazione rappresenta il secondo (dopo Salerno) dei dieci appuntamenti del roadshow che nei prossimi mesi porterà il documento in giro per l’Italia. Occasione di progettazione condivisa sul territorio che chiama a raccolta  le realtà del non profit, la finanza specializzata e le fondazioni di origine bancaria e non affinché insieme promuovano e sostengano “un’altra economia, basata non sul profitto ma sulla partecipazione e sulla produzione di bene comune”. Un’economia sociale e solidale che faccia uscire l’Italia dalla crisi.

Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, Assifero, Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparo, Fondazione con il Sud, Forum del Terzo Settore, Alleanza Cooperative Italiane e Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata al non profit laico e religioso) si sono dunque alleati firmando a Roma nel dicembre scorso un manifesto in grado di creare le condizioni per “far incontrare le migliori idee e tutti gli strumenti di supporto disponibili”. Strumenti finanziari moderni, innanzi tutto, che aiutino il Terzo Settore a sviluppare le sue enormi potenzialità e ad essere volano per la ripresa economica.

body_condivisioneIl non profit (associazionismo di promozione sociale, volontariato, cooperazione) è capace, infatti, di generare occupazione: le cooperative sociali, ad esempio, dal 2011 al 2013 hanno creato 20 mila nuovi posti. Ancora, secondo l’ultimo censimento Istat in Italia le organizzazioni del Terzo Settore sono cresciute in dieci anni del 28% con un aumento degli addetti pari al 39,4%. In Piemonte le realtà sono 25.962, di cui 11.099 nella provincia di Torino. Ed è nel torinese che il non profit è più strutturato in senso imprenditoriale, con una più accentuata presenza di lavoratori retribuiti e un maggior risultato economico.

I quasi 5 milioni di volontari e 1 milione tra lavoratori e soci a livello nazionale rendono numericamente le dimensioni di una realtà di cui lo stesso Governo italiano si è “accorto”, dedicandole grande attenzione con un progetto di riforma di cui sono state recentemente rese note le linee guida. Ma ci sono altri numeri che meritano considerazione, sottolineati nel corso dell’incontro a Torino dal ricercatore Euricse Flaviano Zandonai: l’Istat ha misurato anche il livello di competenza degli addetti, da cui è risultato che il 18% di coloro che sono retribuiti hanno competenze di alto livello. Così come è emerso che il 20% dei volontari è costituito da giovani.

Insomma, il non profit italiano è un settore vitale e dinamico da cui può partire un nuovo modello di sviluppo del Paese. A patto che si sappia dove e come investire, secondo strategie che superino l’approccio del “giorno per giorno” e la logica emergenziale. Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima, ha evidenziato come il credito finora erogato al non profit (e restituito, dato più che positivo, nel 98,8% dei casi) sia stato investito prevalentemente in progetti a breve termine, mentre sono quelli a medio-lungo termine che “fanno la crescita vera del Terzo Settore”.Donazioni-150x100

Quali progetti, dunque? Guido Geninatti, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Italiane settore sociale del Piemonte, ha indicato alcuni ambiti di intervento su cui scommettere: la cura delle persone non autosufficienti, la salute del territorio (con servizi che vengano prima e dopo la fase ospedaliera), l’housing sociale, la tutela del patrimonio ambientale e culturale … Ambiti in cui sperimentare nuove soluzioni che perseguano obiettivi di efficienza e di economicità, di innovazione di prodotto e di rigenerazione di beni immobili e spazi pubblici. “Il settore del privato sociale – ha dichiarato Marco Demarie, capo Uffici studi e programmazione della Compagnia di San Paolo – può e deve dotarsi di modalità di organizzazione più efficienti senza per questo smarrire la sua vocazione orientata al bene collettivo e la sua ispirazione morale. Uno dei temi legati alla maggiore efficienza nell’uso delle risorse ha a che fare con l’uso intelligente del credito”.

E’ nel quadro della convergenza tra profit e non profit che si colloca l’innovazione sociale. Anche se,  ha sottolineato Anna Di Mascio, portavoce piemontese del Forum Terzo Settore, “non può esserci innovazione se le dimensioni economica e sociale non vengono intrecciate e valutate insieme. L’innovazione dei prodotti non basta”.  Ecco allora la necessità di precisare quali sono gli elementi cardini dell’innovazione sociale: cos’è, come si fa, come si inserisce in un contesto di crisi che vede il ricorso sempre più frequente ad antiche forme assistenziali come, ad esempio, la distribuzione dei pacchi viveri? Una risposta, a conclusione dell’incontro, è arrivata da Elide Tisi, vice sindaco di Torino: “La sfida è di provare a strutturare delle risposte nell’emergenza: è questa la vera innovazione. L’innovazione non può nascere a tavolino ma nella pratica, di fronte all’emergenza, magari anche recuperando modalità antiche, che vanno però strutturate”.

 

“Social Renaissance”, conferenza internazionale a Torino

Un giorno di dibattito pubblico per parlare di innovazione sociale, una conferenza internazionale – organizzata da SocialFare,  Torino Social Innovation e Top IX – che si terrà il 26 giugno 2014 presso il Teatro Juvarra di Torino. “Social Renaissance” è il titolo dell’evento, cui prenderanno la parola “specialisti” del settore ma anche istituzioni, fondazioni e università locali, nazionali, europei e americani, a sottolineare come la social innovation si stia sviluppando e diffondendo attraverso una fitta rete di attori pubblici e privati su scala globale.

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La progressiva contrazione del welfare e l’affermazione delle tecnologie digitali hanno portato l’innovazione sociale – uno dei cinque temi chiave individuati nella Strategia Europa 2020 – ad assumere un ruolo centrale nell’elaborazione di politiche volte a un’economia sostenibile e inclusiva, capace di soddisfare bisogni sociali a cui né il mercato né le risorse pubbliche sono oggi in grado di rispondere efficacemente.

slide-01Ecco la definizione contenuta nella Guide to Social Innovation realizzata dalla Commissione Europea (febbraio 2013): “L’innovazione sociale può definirsi come lo sviluppo e l’implementazione di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che incontrano bisogni sociali, creano nuove relazioni social e collaborazioni. L’innovazione sociale porta nuove risposte ad impellenti bisogni che coinvolgono processi di interazione sociale. Le innovazioni sociali sono sociali solo se utilizzano strumenti e perseguono fini sociali. Le innovazioni sociali aggiungono valore alla società e aumentano la capacità di azione individuale e di comunità”.

slide-02“Social Renaissance”, dunque, per indicare un processo  finalizzato a diffondere la consapevolezza  della crescente disuguaglianza sociale cui ci si può opporre con nuovi modelli di welfare di forte impatto che integrino le nuove tecnologie con le discipline umanistiche, l’approccio imprenditoriale e l’impegno civile. Un processo che va ben definito, a partire da un nuovo concetto di “social”, individuando politiche e interventi che siano espressione di una rete di esperienze e conoscenze che travalichi i confini nazionali. Rete al centro della quale intendono collocarsi Torino e il Piemonte, tradizionali laboratori di sperimentazione sociale.

slide-03Di tutto questo si parlerà alla conferenza del 26 giugno, organizzata con il supporto del Comune di Torino, della Regione Piemonte, della Compagnia San Paolo, di Banca Prossima, di GMF (The German Marshall Fund of the United States) e dell’Ambasciata italiana del Canada, in cooperazione con l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la Camera di Commercio di Torino.

L’evento è aperto al pubblico su registrazione: il teatro Juvarra, in via Filippo Juvarra 15 a Torino, può contenere fino a 200 persone.