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La sostenibile leggerezza delle dolci “Furezze”

Quando acquistiamo un prodotto difficilmente facciamo attenzione al “contenitore”. Ci chiediamo quanta energia e quante risorse vengono consumate nella realizzazione di imballaggi che finiscono nella pattumiera non appena il “contenuto” è stato liberato? Un alimento, per quanto “buono, pulito e giusto”, può essere ritenuto sostenibile (nelle dimensioni sociale, economica e ambientale) se è confezionato in packaging poco sostenibili?

slowpack-01-1Segnali di cambiamento, di svolta, di un’accresciuta sensibilità e attenzione ad aspetti finora trascurati si registrano però con sempre maggior frequenza. Comportamenti virtuosi si diffondono sulla scia della crisi sistemica in atto, che impone – oltre ai tagli alle spese – una riflessione sui nostri stili di vita e sulla necessità di un consumo più critico. Riflessione che si allarga grazie anche ad eventi in grado di raggiungere un vasto pubblico. Ad esempio “Slow Pack”, il concorso che il Salone del Gusto e Terra Madre dedica ai migliori packaging.

Tra le realtà imprenditoriali italiane e del Sud del mondo che sono state premiate nell’ultima edizione, abbiamo già raccontato l’esperienza di un’impresa indonesiana che confeziona i sali di Bali in imballaggi artigianali di pietra vulcanica locale. Vogliamo adesso soffermarci su “Le Furezze”, una start up nata un anno fa a Verona dall’intraprendenza di Francesca, Chiara ed Elisabetta, che hanno voluto basare l’attività sul rispetto della persona e la condivisione dei valori, nonché sull’impegno a mantenere un equilibrio armonico con l’ambiente.

Biscotti sostenibili

Le furezze sono biscotti artigianali, leccornie “buone, pulite e giuste” che vengono confezionate in contenitori altrettanto buoni, puliti e giusti. Il premio di Slow Pack – conquistato per la sostenibilità sociale di un progetto quale risultato di un innovativo processo di coinvolgimento del personale – è stato consegnato il 24 ottobre scorso dalla direttrice di SocialFare® Laura Orestano (SocialFare®, ricordiamo, è partner di ricerca di Slow Food).Baci Esotici_Laterale

“Il packaging – spiega Francesca – viene composto in tutte le sue parti da ragazzi con lieve disabilità mentale o fisica, grazie alla collaborazione con la cooperativa sociale ‘Agespha Onlus’ alla quale viene devoluto parte del ricavato dalla vendita dei biscotti. Tra qualche mese saranno questi stessi ragazzi a produrre i biscotti insieme con noi. Uno dei nostri obiettivi è di introdurre nel nostro organico alcuni di loro”.

Oltre a selezionare accuratamente gli ingredienti dei biscotti, le tre ragazze hanno posto particolare attenzione al packaging, il contenitore: semplice, riutilizzabile nei suoi componenti e interamente riciclabile con molletta salva freschezza in legno, sacchetto e oblò interamente biodegradabili, fascetta in carta ecologica, rafia naturale colorata. “Progettando il packaging – spiegano – abbiamo pensato che nel nostro caso ‘l’abito fa il monaco’ e che debba rispecchiare l’essenza dei prodotti”.

 Il co-working nel settore alimentare

Così, in un equilibrio tra relazioni, la start up ha dato prova di sostenibilità operando scelte consapevoli e responsabili che rafforzano la sua capacità di posizionarsi sul mercato. Scelte anche strategiche, come quella di non aprire subito un proprio spazio produttivo ma di appoggiarsi a un laboratorio artigianale di gelateria per avere il tempo di sperimentarsi, consolidare i risultati finora raggiunti ed esplorare nuove strade.

“La gelateria ci ha prese sotto le sue ali, ci sta aiutando in ogni modo, senza competizione né timori. Per adesso figuriamo come suoi consulenti, ma non appena avremo i certificati dell’Asl lavoreremo con loro in co-working, condividendo lo stesso spazio produttivo”, dice Francesca.

"Le Furezze" premiate al Salone del Gusto e Terra Madre. Laura Orestano di SocialFare® ha consegnato la targa

“Le Furezze” premiate al Salone del Gusto e Terra Madre. Laura Orestano di SocialFare® ha consegnato la targa

Già, perché il co-working nell’alimentare è un altro obiettivo della start up: mettere insieme a lavorare più realtà affini, per sostenere imprese che altrimenti rischierebbero di morire prima ancora di spiccare il volo. “Abbiamo proposto l’idea alla Regione grazie a un tecnologo alimentare che ci segue nella parte legislativa”, continua Francesca. E pare che l’idea sia piaciuta. “Le Furezze” sarà quindi la prima azienda in Veneto – e forse in Italia – a sperimentare questo nuovo modello di business.

 

FattiFungo!, non si scarta niente

Ludovico Allasio, Alessandro Balbo, Veronica Gallio, Lorena Mingrone, Dario Toso: sono designer con il comune interesse per la progettazione ecocompatibile. Nel marzo 2013 hanno fondato a Torino l’associazione di promozione sociale e culturale  “Officine sistemiche” , ma già dal 2011 uniscono le forze per “costruire” qualcosa al di fuori dell’ambito universitario, dedicandosi alla concretezza della ricerca applicata.

Team_OSLa collaborazione col Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino si è così evoluta in un percorso indipendente dove l’associazione sta sperimentando sul campo un nuovo modo di fare design, all’insegna delle relazioni tra sistemi diversi e delle connessioni tra realtà eterogenee.

SocialFare li ha scoperti nel 2013, dopo aver lanciato l’Open Call “Fai centro” con cui ha coinvolto giovani fino a 35 anni di età nella creazione di un progetto che identificasse e rappresentasse aspetti dell’innovazione sociale. I 5 designer hanno vinto il bando con “LiberaTutti”, un concept, un’idea per consegnare il quartiere (qualunque quartiere) a chi lo vive, per rendere i cittadini conquistatori dei propri spazi semplicemente “votando” con il loro passaggio strade, vie, percorsi di loro gradimento. L’idea andrà concretizzata, e per questo Officine sistemiche si avvarrà della consulenza progettuale di SocialFare per quanto riguarda gli aspetti di social innovation. Ci ritorneremo.

Adesso, però, vogliamo raccontare un’altra storia, un altro progetto di Officine sistemiche: “FattiFungo!”. Progetto che vede il gruppo all’opera nei boschi della Valle di Susa, alle porte di Torino, intenti a raccogliere scarti verdi (fogliame, sfalci, cellulosa) da miscelare ai fondi di caffè per ottenere terreno fertile in cui far crescere i funghi. Ma cosa c’entra tutto questo col design sistemico? E cos’è il design sistemico? Li abbiamo intervistati.FattiFungo_infografica

Alla vostra associazione avete dato il nome di “Officine sistemiche”. Perché?

“Officine” perché tutto parte da qualcosa di concreto; richiama i valori della bottega artigianale, della cultura materiale, del lavoro manuale. L’aggettivo “sistemiche” si riferisce al concetto di design di sistemi secondo cui, come in natura, durante e alla fine di un processo produttivo non ci sono scarti. Ciò che siamo abituati a definire “scarto” in realtà è una risorsa utilizzabile.

Si lavora come un ecosistema fatto di collegamenti. Se alla fine di un processo non si ha la possibilità di utilizzare una risorsa da esso derivata, ci si mette in relazione con altri soggetti che possano utilizzare quella risorsa. Questa relazione crea rete. Più reti creano più sistemi. E’ chiaro che non si tratta di raccolta differenziata, che presuppone ci sia uno scarto.

E che ruolo gioca il designer in tutto ciò?

La nuova figura di designer ha una responsabilità sociale in quello che fa, crea valore aggiunto. Le scelte che compie all’inizio di un processo sono determinanti. E’ una figura trasversale che non fa solo progettazione, non si limita ai processi industriali, ma conosce bene la materia e lavora perché non ci siano scarti. Si interfaccia con altre realtà, altre competenze, condividendo saperi per realizzare un prodotto che risponda a bisogni che emergono da un’analisi del territorio e della società. E analizzando il territorio scopre che ci sono risorse non valorizzate.

E così avete deciso di coltivare funghi utilizzando risorse non valorizzate…

FattiFungo_workshop2“FattiFungo” nasce da un lavoro di ricerca sui fondi di caffè avviato in università in collaborazione con la Lavazza, per capire che utilizzo si potesse farne. Abbiamo approfondito le sperimentazioni, studiato come, dove e perché crescono i funghi e cercato di individuare le risorse disponibili sul territorio piemontese per la realizzazione del progetto. Abbiamo capito che i fondi di caffè vanno associati ad altri “scarti” verdi, disponibili in abbondanza tra i castagneti del Piemonte. La Valle di Susa è ricca di castagneti. Di solito le foglie che cadono vengono bruciate, invece l’approccio sistemico prevede sì di rimuoverle dal bosco per ripulirlo ma non di bruciarle, utilizzandole in altro modo.

Quindi avevate da una parte i fondi di caffè e dall’altra foglie secche…

Queste due risorse insieme creano il substrato per far nascere i funghi. Un fungo in particolare: il pleurotus, una delle specie più coltivate e conosciute nel mondo. Ed è ottimo. Abbiamo anche fatto una prova culinaria: abbiamo chiesto ad un agriturismo della zona di cucinare separatamente il pleurotus prodotto da noi e quello acquistato nei supermercati, senza che noi sapessimo quale stavamo mangiando. Il nostro pleurotus ha vinto palesemente.FattiFungo_piatti

Dove lo avete coltivato?

In una cantina di Giaglione, sufficientemente umida. La proprietaria ha un castagneto, le foglie le abbiamo raccolte lì. Abbiamo recuperato i fondi di caffè dai bar della zona, abbiamo tagliuzzato le foglie per velocizzare il processo e poi le abbiamo bollite per capire se era necessaria la sterilizzazione. Sì, era necessaria. La sperimentazione è durata un anno. Nel substrato abbiamo aggiunto il micelio, l’apparato vegetativo del fungo.

Qual è l’obiettivo del progetto?

Divulgare la metodologia. Il nostro obiettivo non è vendere funghi, ma sensibilizzare sul fatto che non esistono scarti. E poi vorremmo promuovere una coltivazione diffusa sul territorio, per creare un prodotto del territorio, per aggiungere al territorio identità e ricchezza. Non sono necessari grandi investimenti. In valle ci sono tante cantine da sfruttare per la coltivazione.

Avete anche preparato un minikit per coltivare i funghi in casa…

FattiFungo_KitSi tratta di un sacchetto diviso in 3 parti: uno contiene il micelio, un altro gli scarti legnosi e il terzo, vuoto, va riempito coi fondi di caffè. Occorre tenerlo al buio per una settimana e poi spostarlo alla luce. Adesso usiamo il minikit a scopo promozionale, in occasione di fiere ed eventi.

Quest’anno avete realizzato un altro progetto innovativo: “DoubleCLICK”. Di cosa si tratta?

E’ nato dall’esigenza di stampare su materiale non convenzionale di dimensioni non adatte a una stampante tradizionale. Il sistema si compone di 2 mouse collegati a un pennarello e a supporti tecnologici. Il computer visualizza l’immagine da stampare, muovendo il mouse il pennarello disegna dove passa il puntatore. Il pennarello sa cosa deve fare, tu lo accompagni sul foglio. Con DoubleCLICK  ogni disegno è unico e originale in base ai movimenti della persona che lo esegue.DoubleCLICK

Il progetto “DoubleCLICK” sarà presente a Roma dal 3 al 5 ottobre nell’ambito dell’evento “Maker Faire” , seconda edizione europea della mostra dedicata agli inventori del nuovo millennio in programma all’Auditorium Parco della Musica.  Occasione per toccare con mano le invenzioni più innovative quali robot, stampanti 3D, vestiti intelligenti, elettronica open source e oggetti di design ad alta tecnologia. La manifestazione – promossa dalla Camera di Commercio di Roma e curata  da Massimo Banzi, cofondatore di Arduino, e Riccardo Luna – ospiterà 500 espositori, workshop, educational ed eventi interattivi.