Imprenditore e comunità | lezione di Luigino Bruni

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Dalla lezione del professor Luigino Bruni per il secondo modulo del corso di economia civile dedicato all’imprenditore civile:

 Imprenditore è una parola abbastanza recente, il primo ad averla usata pare sia stato Richard Cantillon (banchiere irlandese), nel suo celebre Essai sur la nature du commerce en général scritta intorno al 1730. Entrepreneur: lo prendono dal francese, ma subito entra nella teoria economica inglese. Nell’economia classica abbiamo tre categorie: i lavoratori (direi gli operai), gli imprenditori, e i proprietari terrieri (intesi come coloro i quali forniscono i mezzi di produzione). Oggi dovremmo ascrivere a quest’ultima categoria anche banche e leasing. Ricardo, Marx, Smith dicevano che ai lavoratori va il salario, agli imprenditori il profitto, ai proprietari terrieri la rendita. L’imprenditore paga il lavoro, paga la rendita: il profitto è uno scarto tra costi e ricavi.”

“L’imprenditore è un soggetto che ha un’idea di impresa. Se sono imprenditore vado in banca accendo un mutuo, trovo i lavoratori, affitto lo spazio. Questi sono tutti costi che sostiene: interessi sui mutui, affitti, costi indiretti, salari, costi di uso, erogazione energia. Il profitto è un valore residuale. Se l’impresa non trova sostenibilità economica in un medio periodo, chiude. L’imprenditore è qui, al centro: attorno a lui possiamo tracciare tutti i rapporti che mette in atto.  Questo flusso produce un ricavo se il flusso generato è maggiore dei costi, se è minore va in perdita. In questo caso un tempo il consiglio era chiudi: hai distribuito meno ricchezza di quella che hai utilizzato.”

“Ora si è affermato il concetto di start-up: hai tre anni per riuscire a trovare la tua sostenibilità economica. E nel caso di attività orientate dall’innovazione sociale, posso rifarmi al concetto di impatto sociale: il valore economico allora si relaziona al valore sociale. Questo si traduce nella possibilità di inserire nei ricavi l’impatto positivo che generi, ma perché questo possa accadere qualcuno deve riconoscerlo e assumerne i costi. Vedete come l’impresa si pone al centro di una rete di relazioni? La prima skill necessaria a un imprenditore è saper gestire la complessità di relazioni: l’imprenditore è in primo luogo un costruttore di relazioni.”

“ A tutto ciò bisogno aggiungere che il profitto non si basa sul merito: è questione di tempistica, di fortuna, di serendipità. Ricardo ci mette in guardia: date le difficoltà a generare profitto, quello che tende ad accadere è che si affermi il reddito. Secondo la sua analisi il capitalismo finirà per la tensione tra redditieri e imprenditori. Il redditiere gode di qualcosa che ha fatto ieri, e che probabilmente non ha realizzato lui, mentre chi produce oggi è l’imprenditore: il redditiere in questa ottica rischia di essere poco più che un parassita. Qual è il problema? Il capitalismo che vive di rendita strozza l’imprenditore, rischiando a causa di ciò di andare in crisi per mancanza di profitti. Piketty ha dato esattamente questo input: dati alla mano ha sostenuto che le economie che hanno avuto più rendite che profitti sono andate in declino.”

“Dopo Ricardo arriva Marx, che pone il conflitto tra lavoratori e imprenditori lasciando crescere gli ereditieri. Cento anni di capitalismo hanno fatto crescere gli ereditieri, senza far capire a lavoratori e imprenditori che sono alleati. Qual è quindi l’idea che c’è in Ricardo? Tassate molto le rendite e lasciate crescere il profitto. La storia conferma questa analisi: tra gli anni Trenta e i Sessanta la tendenza non è stata questa, e l’Italia ha funzionato. Negli anni Novanta però le cose sono nuovamente cambiate. Tuttavia il primo protagonista che è sottoposto al ciclo profitto-rendita è proprio l’imprenditore, che nasce imprenditore e diventa redditiere. Dopo una fase di “giovinezza” imprenditoriale in cui sei generativo subentra la stanchezza, e le energie residue le impieghi per difendere quello che hai prodotto: prendi i paletti e non vuoi più spostarli in avanti. Li utilizzi per difendere il tuo patrimonio.”

“Quando subentra questa fase puoi decidere di vendere l’azienda, di diventare speculatore o hai la maturità di cedere agli eredi. In quest’ultimo caso il rischio è che l’imprenditore condanni i propri eredi a una libertà vigilata. Questa vigilanza, se non c’è paternalismo, può non essere negativa: i figli e le mogli non sempre sono capaci come il fondatore di un’azienda. Anche se i figli hanno bisogno di spazi per poter crescere, l’imprenditore deve fare accompagnamento. Tuttavia inevitabilmente l’impresa risulta essere un po’ la foto di chi l’ha fatto. Per questa ragione alcuni amici sostengono che le imprese italiane sono, in media, invendibili. Ci vuole che chi l’ha fatta nascere faccia qualcosa.”

“ Qual è la caratteristica fondamentale dell’imprenditore? L’anticipazione. Lo vedremo ora attingendo alle riflessioni di un altro economista, più recente, Jevons.  Devi vedere prima del mercato dove vanno le cose. Quando il cielo si rannuvola vedi comparire i venditori indiani di ombrelli, pronti agli angoli delle strade esattamente un minuto prima che la pioggia inizi. Se tu aspetti che piova è troppo tardi. Come puoi capire quando il cielo si rannuvolerà? Uscendo dalla metafora la risposta è che devi ascoltare la gente, devi leggere. Il mondo cambia ovunque: non solo in centro, cambia anche nelle periferie. Per questo il segno più chiaro del decadimento di un imprenditore secondo Einaudi è quando non esce dalla propria azienda. Per rigenerare devi frequentare luoghi promiscui, esporti a stimoli inattesi. Come diceva Edgard Moren: se non ti rigeneri, degeneri. Allora innovi, e devi capire quando è necessario farlo. Vale la legge del tramonto dentro il mezzodì’: il declino inizia dentro il massimo successo. L’importante è fermarsi un minuto prima dell’apice, poi inizia il declino.”

“Parlare di anticipazione implica anche la  propensione al rischio, la disponibilità all’innovazione. A questo proposito è utile citare il contributo di due economisti: Keynes e Schumpeter. Quest’ultimo scrive la Teoria dello sviluppo economico: la prima descrizione dell’imprenditore, la prima teorizzazione completa. Immaginiamo un mondo stazionario in cui il tempo non conta niente. Ogni anno l’impresa produce solo ammortamenti. Cosa spezza questo stato stazionario? L’Innovazione, qualsiasi cosa sia nuova. Ma cosa spinge a innovare? Chi crede che sia il profitto sbaglia, quella è una conseguenza. L’imprenditore è mosso dall’innovazione, non dal profitto. Il premio e il movente non sono la stessa cosa. Direbbe qualcuno, me compreso, tu cerchi il profitto e non ti arriva. Arriva come nella favola veneziana dei figli del re Serendippo che grazie al caso, all’osservazione e alla sagacia si trovano a venir fuori dalle situazioni più complicate. Arriva come la scoperta della  penicellina. L’imprenditore innova per vocazione, perché gli imprenditori sono come gli artisti: abitati da un demone che li rende irrequieti. Se fossero mossi dal profitto non sarebbero imprenditori, ma speculatori.”

“La cosa incredibile del profitto per gli innovatori è che quando l’imprenditore idea un’innovazione, arrivano gli imitatori e si appropriano della rendita. Perché l’imprenditore possa continuare ad avere profitto l’unica soluzione è continuare a innovare: il profitto viene asciugato dagli imitatori. Che soluzione resta allora all’innovatore? Fare cose ancora più innovative, perché se tu inizi a lamentarti inizia il declino. Dico questo perché all’arrivo degli imitatori quello che succede è che l’innovazione diventa patrimonio del mercato: si abbassano i prezzi, si favorisce il dinamismo del mercato. In un mondo stazionario la prima povertà è che mancano le idee. Quindi quello che bisogna fare è innovare ancora di più, perché se non lo farete voi lo faranno altri, e voi resterete in dietro.”

“Innovare non è semplice. Non si tratta solo di avere l’idea giusta: il primo problema in cui si imbatte chi innova è che senza credito non si fa innovazione. Ma l’innovazione non può essere compresa da chi porta una mentalità vecchia, e i banchieri solitamente oppongono naturalmente resistenza al cambiamento. Ci vuole allora un banchiere innovatore. Eppure il problema si ripropone: se il sistema è tradizionale, come trova i fondi il banchiere? A partire da questa domanda cambia la teoria della banca e viene messa in discussione la visione classica, per cui la banca per fare i prestiti deve avere alle spalle credito come accadeva con i depositi fino al 1910. Da economista pratico Schumpeter dice: non è assolutamente così, la banca crea moneta con un tratto di penna. La banca presta soldi che non ha. Nasce la teoria della rendita finanziaria: co-credito. La banca ti finanzia senza avere già i soldi. Nasce l’idea che la banca possa essere un imprenditore, perché se le banche si basano sul reddito e non sono imprenditrici non c’è sviluppo.”

“Ora che abbiamo delineato la figura dell’imprenditore, vediamo come queste caratteristiche sono declinate dall’abbinamento a un aggettivo che un po’ tutti conoscete: civile. Se volesssimo tradurre la relazione tra questi due elementi in una formula matematica potrebbe essere “imprenditore x civile”, di modo che se sono tutti e due zero il risultato è zero. Ma da cosa deriva questo effetto moltiplicatore connaturato all’unione di questi termini? Moltiplica: è un moltiplicatore, non un sommatore: occorre che porti valori positivi sotto entrambi i profili. L’imprenditoria civile è eccedente: eccedente rispetto al territorio, eccendete rispetto a ciò che produce rispetto ai propri stakeholder, eccedente rispetto alla responsabilità sociale di azienda. Il talento dell’imprenditore non è esaurito dall’economia, dall’ambito economico. Per me un buono esempio è quello di Muhammud Yunus, il banchiere dei poveri che ha fondato la Grameen Bank. L’idea è che il talento di un imprenditore non può limitarsi all’azienda. Cosa inventa Yunus? L’assicurazione per i poveri: mutue postmoderne che ridistribuiscono il rischio su tanti. Si inventa le terapie con gli smartphone: fotografie dei casi nel Bangladesh , e da Harvard arriva la soluzione. Come Yunus l’imprenditore civile sente di avere dei talenti che non possono limitarsi all’azienda: è un risolutore di problemi. “

“Un’altra caratteristica che a me sta molto a cuore è quella del mutuo vantaggio. Questa è un’idea tipica dell’economia civile. Voi avete da una parte il modello dell’egoismo, e quello dell’altruismo dall’altro. Il modello di Freedman: l’imprenditore fa il suo interesse e il bene comune arriva senza che se ne rende conto. Oppure il filantropo che mette i propri soldi a disposizione. L’imprenditore ha come talento però non i soldi, ma se stesso. Il mio dono sono le mie risorse come persona, non quelle finanziarie. Io mi metto in gioco. Come ci dissero gli studenti nel summer camp africano: a noi non servono i soldi, a noi servono gli imprenditori. Quindi avete la visione dell’egoismo o l’altruismo: nel mezzo tra questi due atteggiamenti, quello che i genovesi chiamavano mutuo vantaggio. Per l’economia civile Il mercato è cooperazione, non competizione. Uno scambio mutuamente vantaggioso. Leggo il mercato come un luogo pienamente umano, dove mi arricchisco non grazie a te, ma con te. Il mercato è un luogo bello. La tua crescita è nelle mie intenzioni. C’è una intenzionalità collettiva. C’è un gruppo di persone che fanno azioni collettive: il team temporaneo.”

“Si pone allora una domanda: il sentimento del noi, di fraternità (in senso laico) è un criterio ex ante o nasce dopo il contratto? Il noi diventa un criterio di scelta o nasce dopo il contratto? Nasce dopo il contratto: se noi scegliamo amici, parenti e vicini il mercato finisce. Prima guardo il mercato: vedo chi ha bisogno di me, dove ci sono opportunità di mutuo vantaggio. Vedo nell’ottica del laico sistema di prezzo. Poi scatta il noi. Non deve farmi scegliere te a prescindere dal costo di ciò che proponi. Quando salta questo, viene meno la parte laica della vita. Io devo salvare il mercato e il rapporto con te. Poi nella vita esistono i cugini e i parenti, ma bisogna tener presente che dare la priorità a queste relazioni ha un costo. Cos’è bello dell’economia vera? Il fatto che la gente compie un sacco di contratti nuovi, diventa mezzo di scoperta nuovo. Tutto questo va detto sapendo che è costoso, è complicato. Se noi perdiamo questa laicità facciamo il gruppo di amici. Poi detto questo il mondo è complicato. La bellezza è questo intreccio.”

“Torniamo ancora a Ricardo. Uno dei teoremi che ha inventato è quello dei vantaggi comparati, che parte dall’assunto che un paese tenderà a specializzarsi nella produzione del bene su cui ha un vantaggio comparato (cioè la cui produzione ha un costo – opportunità, in termini di altri beni, minore che negli altri paesi). L’economia ha senso se dice delle cose contro intuitive. Lo scambio conviene anche con persone svantaggiate. Se tu Inghilterra hai convenienza a scambiare con il Portogallo è mutualmente più vantaggioso. A quale condizione non si scambierà mai? Se sono uguali. In un mondo troppo omogeneo scambieremo di meno. Ti conviene scambiare dove c’è differenza, anche se la differenza è data dalla condizione di svantaggio.”

“Qual è il messaggio che si può trarre da Ricardo? Io come posso comportarmi nella relazione con una persona svantaggiata? Torniamo ai due profili delineati prima. Sono un egoista: ti posso assumere solo se ho dei finanziamenti pubblici. Sono un filantropo: ti aiuto. Possibilità tre: stiamo crescendo assieme. A certe condizioni, stiamo crescendo assieme. Molto più dignitoso. Tu mi aiuti, e io aiuto te. Quando per legge è stata prevista la presenza di persone portatrici di handicap alcune aziende hanno preferito la multa all’avere uno svantaggiato tra le risorse umane. Ci vuole molta creatività.”

“Ho visto cooperative di giardinieri dove persone che erano state in galera facevano la differenza. Non mi devo dare pace, finché l’altro  non si sente utile a me. Questa è la più alta forma di economia civile, gli stai dicendo: siamo uguali. Ci vuole creatività. Soprattutto perché se non mi invento un lavoro vero non guariscono mai. Non c’è nulla di più umiliante che fare un lavoro inutile. Carlo Tedde questo l’aveva capito bene, e lo ha dimostrato nella sua gestione  del carcere minorile Quartucciu. Iniziò con il tentativo di coinvolgere i detenuti nel lavoro per la mensa. Il progetto partì bene, ma i poliziotti credevano i detenuti sputassero nei piatti. Allora attivò la sua creatività: lavanderie per le navi da crociera che passano da Cagliari.”

“Quando si fanno accordi internazionali valgono gli stessi principi, e accade che alcuni produttori molto capaci risultino penalizzati dagli accordi presi. Questo danneggia l’imprenditore, e la potenziale crescita. Mi muovo tra discorsi ambivalenti: in settori per cui è positivo fino a un certo punto, poi ha il lato oscuro. Perché la vita è così. Ma le ambivalenze portano storie generative. Sono terreni sempre scivolosi. La vita è sfumata, però è possibile raccontare una bella storia.”

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