Cambiare lavoro è facile se sai come fare

Cambiare lavoro è facile se sai come fare. A sostenerlo Cristina Gianotti, career coach e autrice del libro pubblicato quest’anno da Bookabook così intitolato. L’autrice presenta oggi (14 settembre 2016) il libro negli spazi di Rinascimenti Sociali. Un libro speciale fin dal suo debutto editoriale. Bookabook, infatti, rappresenta un modo nuovo di fare editoria: un team di esperti sceglie le migliori storie, che attraverso la piattaforma potranno incontrare i lettori, a cui spetterà la scelta di trasformarli o meno in libri. Il progetto editoriale di Cristina ha riscosso subito successo. Forse perché la sensazione che hai nel leggerlo è quella di uscire con tanti amici, e farti raccontare tutto quello che ti serve per trovare lavoro.

Cristina Gianotti: A me piace la teoria, ma da bravo ingegnere non dimentico che tra la teoria e la pratica c’è una bella differenza. Ora vanno di moda cose come il personal branding, approcci che incitano le persone a “trovare quello che ti rende unico”. Giustissimo, ma cosa significa concretamente? Da qui l’idea di passare dalla teoria alla pratica e tirare fuori un po’ di esempi, cosa non difficile per me grazie ad un’esperienza abbastanza lunga nell’ambito del career coaching. Negli esempi che riporto combino gli incontri avvenuti durante la mia attività per Reseau Entraprendre Lombardia, ma anche le storie condivise con i compagni dell’MBA, e le  persone che hanno fatto parte della mia vita. Quando ti parlo di esempi non intendo per forza dei role model, ma l’esperienza di persone più accessibili, con cui non è difficile identificarsi e da cui poter trarre immediata ispirazione.

Una cosa che emerge fin da subito nel tuo libro è che trovare lavoro riguarda profondamente la propria realizzazione personale, ma al contempo che non è qualcosa che devi soltanto a te stesso: nelle tue parole sembra quasi che la capacità di cambiare lavoro risponda ad una sorta di senso civico!

Questo deriva dalla introduzione a un libro che ho letto anni fa, “Troppo vecchi a quarant’anni”. Avevo superato la quarantina da poco, e le persone che dovevo seguire come coach rientravano tra quelle che ora vengono definite quote grigie (tra i quaranta e cinquant’anni). Quel libro racconta gli attori coinvolti dal mercato del lavoro: decisori politici, aziende, sindacati ma anche l’individuo. L’idea che l’individuo fosse inseriti tra gli attori che dovevano contribuire alla creazione del lavoro per me fu sorprendente. La gente della nostra generazione si è trovata a far parte di una società in crescita, con aziende che offrivano posti di lavoro, e si è creata l’idea che in qualche modo il lavoro fosse una cosa dovuta. Eppure l’uomo primitivo doveva andare a trovare sostentamento,  e anche i miei nonni non hanno mai pensato che fosse qualcun’altro a dover provvedere a trovare loro lavoro!

Il tuo libro è un vero compagno nella ricerca di un nuovo lavoro: parte dall’analisi dei propri talenti, offre strumenti di visualizzazione e mappatura, e moltissimi spunti sulla redazione del curriculum. Com’è nato?

Tutto nasce da una considerazione sulla carriera delle donne: noi, in Italia, non abbiamo dei reali role model. Le donne di successo tendenzialmente sono figlie di imprenditori, sono pochi i casi di donne di successo che non hanno un cognome prestigioso. Volevo raccogliere esempi che fossero di ispirazione, eppure la prima stesura risultava molto accademica. L’ho fatto leggere ad un imprenditore che avevo seguito come coach, che avevo intervistato, e che mi sarebbe piaciuto coinvolgere nella scrittura del libro. Lui mi ha detto: “a me non piace, perché non riconosco la tua voce in questo libro. Prova a scriverlo come quando fai consulenza!” Superata la delusione iniziale mi sono resa conto che aveva ragione: il mio obiettivo non voleva essere offrire uno strumento tecnico ai direttori del personale, ma aiutare le persone che sono già entrate nel mondo del lavoro e che per un motivo qualsiasi hanno bisogno di re-inventarsi. Per farlo era necessario mettere per iscritto gli strumenti che uso nelle mie consulenze! E direi che ci sono riuscita: ho sottoposto il libro al custode della casa in cui abito, una persona che ha fatto tutti i lavori del mondo con il diploma di terza media e che la domenica legge l’inserto culturale del Sole24ore, quando l’ha letto mi ha detto: si capisce, ed è concreto!

Dopo aver fornito molti strumenti per capire cosa si desidera fare e cosa si è capaci di offrire al mercato del lavoro, proponi un capitolo dal titolo “Emigrare”. Il penultimo capitolo del tuo libro.

Questo perché mentre scrivevo il mio libro si parlava molto degli Italiani all’estero: il solito mito di dover andare all’estero per trovare lavoro, o l’esigenza di studiare fuori. Nel settore da cui  vengo io (informatica e telecomunicazioni) a quaranta o a cinquant’anni le aziende non ti prendono più in considerazione per un’assunzione. A Praga e a Londra sì. Inoltre il lavoro non è l’unico movente per cambiare nazione, può essere legato anche a questioni di equilibrio familiare: il marito ha un’opportunità fuori, oppure ci si innamora e si cambia città. Ho voluto far trasparire il fatto che quando uno fa una scelta relativa al lavoro deve considerare tutti gli aspetti correlati a questa scelta, e inoltre che si può ritornare! Volevo smorzare l’idea che sia indispensabile trasferirsi all’estero per realizzarsi professionalmente.

E, infatti, l’ultimo capitolo è “Intraprendere”. Come mai questa scelta?

Nella mia ricerca ho notato che a un certo punto se uno è veramente bravo, fa il passaggio verso un’attività in proprio. Non so se questa sia una scoperta o una conferma. Parlo dell’esperienza di professionisti senior che arrivati a un certo punto della loro carriera non trovano la multinazionale che li prenda in considerazione, o magari neanche la società più piccola che ti consenta di continuare ottimizzando la tua esperienza in un settore: ora le risorse devono occuparsi di ambiti diversi. Allora lì bisogna tirarsi su le maniche e cercare. Non un nuovo lavoro, ma mettersi in proprio! Ultimamente sto scoprendo che anche i giovani si danno molto da fare in questa direzione, come ho potuto notare attraverso l’esperienza con Reseau Entraprendre, dove persone con più esperienza aiutano i più giovani a sviluppare i propri progetti. Quello che ho scoperto è che per fare impresa bisogna avere della gioventù, non intesa in senso anagrafico: ma di coraggio e intraprendenza.

Come immagini il mondo del lavoro tra dieci anni, fatto solo da liberi professionisti?

Io mi concentro sull’Italia: nel libro e ora in questa risposta. Per le multinazionali  la nostra nazione inizia a diventare sempre il luogo delle filiali, ma le filiali si possono spostare. La mia tesi di laurea è stata premiata dall’IBM. Allora loro avevano dei laboratori a Santa Palomba (Roma) in cui lavoravano sul riconoscimento vocale. Ora sono tutti spostati in America o in Cina, dove c’è gente con buoni cervelli, che costa di meno e si dà da fare. Io vedo il futuro del lavoro in Italia sempre più legato a delle professioni che non siano delocalizzabili, ma legate alle persone: servizi terziari, o di cura alla persona. Oppure fortemente legati ad una nuova concezione della tecnologia: pensa ai fablab e alle possibilità offerte da una semplice stampante 3 D! Inoltre sarebbe auspicabile una ripresa del manufacturing, anche in modo innovativo! In ogni caso quello che ritengo è che la persona dovrà riprendere in mano se stessa, non basandosi sulle prospettive offerte dalle multinazionali ma su quelle generate dalle sue capacità e impegno.

A questo punto dell’intervista non posso resistere alla tentazione di chiederti la tua storia lavorativa! Ovviamente non mi permetto di fare le domande dirette delle tue interviste, ma mi piacerebbe tu raccontassi come sei arrivata qui.

(Ride) Sono del 1961. Sono figlia unica. Eravamo nel boom economico. Famiglia umile. Molto brava a studiare: l’educazione familiare mi aveva insegnato che studiare doveva aveva la stessa importanza che lavorare aveva per i miei genitori. Quando si è trattato di scegliere l’università ho scelto ingegneria. Una scelta non facile allora per una donna. Finita l’università, quando c’è stato da decidere dove andare a lavorare (perché all’epoca c’era da scegliere), invece di andare in Olivetti o IBM sono andata in quella che allora era la Andersen Consulting, oggi Accenture.  La politica aziendale era che o crescevi o venivi licenziato. Negli anni Novanta le previsioni erano di recessione, per cui non riuscivano a promuovere nuove figure. Inoltre erano molto maschilisti. Ho deciso di fare l’MBA in Bocconi a mie spese, sono rientrata in Andersen e l’hanno valutato negativamente. Così ho iniziato a cambiare lavoro, e l’ho cambiato varie volte! Ho lavorato per diverse società più piccole, di derivazione americana. Poi il primo tentativo di mettermi in proprio, con una compagna di MBA, aprendo una società di formazione manageriale. Non ha funzionato e mi sono ritrovata bloccata, come se avessi fatto le cose più belle della mia carriera professionale all’inizio. Un giorno leggo su IO Donna un articolo sul coaching. Ho approfondito il tema, scoprendo che non si trattava solo di aiutare le persone a trovare la propria dimensione lavorativa ma anche di favorire i processi decisionali nelle riunioni. Ora te lo racconto così, ma all’epoca è stata tosta: ho studiato per diventare un ingegnere, e ritrovarsi a fare il coach non è stato facile! Era il 2004, volevo lasciare il mio mondo precedente e avevo iniziato a muovermi come libero professionista: ho trovato una società di outplacement in cui ho lavorato molto, mi sono formata, ho letto molto e ho fatto il master in coaching.

Un consiglio che daresti a una persona che oggi inizia ad essere “imprenditrice di se stessa”?

Una cosa su cui ho molto riflettuto è la soglia che trasforma la determinazione in ostinazione. Insomma, quando arriva il momento in cui arrendersi se le cose non vanno bene? Capirlo è difficilissimo. Pensa al fondatore della Geox: ha provato a vendere il suo modello di scarpe con i buchi a tutte le aziende di scarpe esistenti, e poi ha fatto da solo. E ha avuto successo! Il consiglio che do è di essere concreti, e avere il coraggio di testare le proprie intuizioni sul mercato. Provare a vendere il proprio prodotto, o servizio. Anche in una versione semplificata. E poi di essere curiosi: mia madre mi ha sempre spronato a seguire mille corsi, per imparare a fare l’infermiera, per saper cucire, per cucinare magnificamente!

 

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